venerdì 27 febbraio 2009
giovedì 26 febbraio 2009
Neinte di nuovo
Il disco Ognuno fa quello che gli pare di Max Gazzè è una delle opere fonamentali della canzone d'autore italiana dell'ultimo decennio. Niente di nuovo è brano esistenziale perfetto in ogni parte. Ed è solo una delle tante perle dell'album. Scrittura obliqua, testi pieni di immagini evocative e toccanti, scelte sempre originali ma non forzate. Un autore straordinario.
Di sotto il testo di Il dolce della vita (di cui trovate qui una strana versione franco-italiana). Altro splendido esempio.
Il Dolce della vita
Dopo migliaia di giorni
a cercare chissà quali verità assolute
fatalmente sto capendo come è facile
succhiare il dolce della vita
fra l'opinione di uno
ed il parere dell'altro
Vesto come gioielli
le passioni principali
che danno ragione
a chi le vive pienamente
sto capendo com'è facile
succhiare il dolce della vita
liberato finalmente da principi deleteri
Tre due uno
Via dalla strada
Fate largo non ho freni
Tre due uno
Tieni duro
Altrimenti vaffanculo
Fino all'ultima goccia
Accettando con fermezza
L'opinione di uno
ed il parere dell'altro
Sto capendo com'è facile
Succhiare il dolce della vita
Fino all'ultima goccia
Fino all'ultima goccia
Fino all'ultima goccia
Fino all'ultima goccia
Tre due uno
Via dalla strada
Fate largo non ho freni
Tre due uno
Tieni duro
Altrimenti vaffanculo
E lucevan le stelle
C'è una luce riflessa
che ritorna ripiegata
a pugno.
La follia è espressione
delle passioni.
Risvegliato
preparato alla morte
solo Tosca e i suoi occhi
possono riportarmi al fiume
agitato dell'amore delittuoso
all'inquietudine del sonno.
Nelle sue mani trasparenti
e in quella sua voce tagliente
al passo leggero di chi
troppo sangue muove
a ritmi troppo rapidi
la mia gioia si perde
impreparata alla vita
che la morte sospira.
Lei Tosca mi osserva
senza sapere che perdo
con lei e i suoi sorrisi
con lei e le sue lacrime
la prima e più nobile
possibilità di essere felice
e libero.
poesia ispirata a Tosca di Giacomo Puccini
che ritorna ripiegata
a pugno.
La follia è espressione
delle passioni.
Risvegliato
preparato alla morte
solo Tosca e i suoi occhi
possono riportarmi al fiume
agitato dell'amore delittuoso
all'inquietudine del sonno.
Nelle sue mani trasparenti
e in quella sua voce tagliente
al passo leggero di chi
troppo sangue muove
a ritmi troppo rapidi
la mia gioia si perde
impreparata alla vita
che la morte sospira.
Lei Tosca mi osserva
senza sapere che perdo
con lei e i suoi sorrisi
con lei e le sue lacrime
la prima e più nobile
possibilità di essere felice
e libero.
poesia ispirata a Tosca di Giacomo Puccini
mercoledì 25 febbraio 2009
Tosse
Dopo una notte pressoché insonne per la tosse
sento la stanchezza che mi riporta alla calma.
Che non è pace.
sento la stanchezza che mi riporta alla calma.
Che non è pace.
Inaugurazione
In questi giorni inaugurano la fermata del metrò di Garibaldi, a Milano.
Imbellettata, ristrutturata e ripulita. Lo stile dovrebbe richiamare le passerelle della moda.
La fantasia supera la realtà.
Anche qui, e in ogni luogo, mi rassegno a essere un pessimo uomo.
Imbellettata, ristrutturata e ripulita. Lo stile dovrebbe richiamare le passerelle della moda.
La fantasia supera la realtà.
Anche qui, e in ogni luogo, mi rassegno a essere un pessimo uomo.
lunedì 23 febbraio 2009
Lirica
Ammetto di non avere mai avuto una predilezione per la muscia lirica.
Solo recentemento ho capito perché.
Sto comprando gli ottimi allegati al Corriere della Sera "La Grande Opera Lirica".
L'altro giorno metto nello stereo di casa Il Barbiere di Siviglia. Gabo arriva da me di corsa e mi dice Chi è che canta? Il mostro? La musica dei mostri?
A pensarci, la tecnica e l'impostazione vocale della lirica sono a tratti effettivamente "mostruose", in quanto non naturale. Ripesco dai miei ricordi quello stesso spaesamento di bambino all'ascolto di queste opere caricaturali, per lunghezza e "generosità" e tecnica. Credo che all'orecchio di un giovane di oggi quei paesaggi sonori risultino piuttosto estranei. Ciò non toglie che l'ascolto non possa essere coltivato e stimolato.
Ed eccomi qui, al lavoro mentre ascolto la folgorante Tosca di Puccini nella versione del 1953 con Maria Callas protagonista.
Non è mai troppo tardi, penso, per imparare ad apprezzare certe cose.
E mi scuso per l'evidente banalità delle considerazioni che, da non cultore della materia, mi ritrovo a scrivere. D'altra parte, se Callas con tanta efficacia riesce a comunicare anche al mio orecchio non allenato, allora qualcosa di davvero straordinario qui deve esserci.
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Cane pazzo
Il primo capitolo di un romanzo mai scritto...
‘cane pazzo!’ mentre l’osservo ‘cane pazzo!’
‘sniff sniff!’ avanti tutta poi sinistra di colpo un odore che lo porta a destra un giro intorno all’albero più grosso. Affronta il rettangolo verde come una faccenda privatissima e importantissima. E non si ferma.
‘Di cosa si tratta?’ mi chiedo ‘ di assoluta concentrazione o di un’attenzione vaga e dispersa tra mille stimoli?’ allaccio le braccia al petto e respiro un poco più forte ‘di cosa è fatto il nucleo della sua ricerca? Di ogni ricerca?’
Scatto la terza foto della giornata. Solo tre in dodici ore. Riprendo il cane nel momento preciso in cui cambia nuovamente direzione. Quando riguarderò la foto, mi farò un’idea più precisa della distanza quasi costante tra il suo muso e il terreno. È un cane gentile? Sempre a due centimetri dal terreno, senza mordere, leccare o strappare l’erba. Siamo abituati a pensare alla loro ricerca – cani, gatti, animali comunque, tutti insieme – come finalizzata unicamente al recupero di cibo; è curioso osservarlo in questa azione apparentemente priva di scopo. Un ricercatore irrisolto.
‘cane pazzo!’ sollevo il culo dalla panchina, alle otto e tre quarti di sera, con le nuvole pesanti appese al soffitto del cielo, la macchina fotografica che dondola sul petto, ed un indolenzimento alle cosce come sapore di anatra all’arancia. Cosce d’anatra, passo di papera. Giornata quasi finita.
Le scale che portano al mio appartamento, superata la soglia del portone di legno e ruggine che dà sulla strada, sono lisce del marmo calpestato spesso. Fatica e sudore sulla mia pelle flaccida, perché ho ancora paura dell’ascensore; tutte le mie paure entrano con me nel nuovo millennio. Cerco la chiave di casa nella borsa della macchina fotografica, tra obiettivi e filtri. Sento tutto il peso dei miei centoventi chili.
Entro velocemente, velocemente richiudo la porta alle mie spalle - ‘cane pazzo!’.
Sono già nudo quando entro in bagno. Le mie forme escono dallo specchio. Il mio sesso è nascosto, intimidito da tanta esuberanza carnale, peli e ciccia – la foresta del Vietnam, dove perdersi è più facile che sopravvivere, come in quel fumetto dove il colore delle piante, così accurato e vivo, era in realtà il colore della morte. Apro l’acqua. Mi siedo sulla tavoletta del cesso aspettando che l’acqua entri in temperatura.
‘sniff sniff!’ avanti tutta poi sinistra di colpo un odore che lo porta a destra un giro intorno all’albero più grosso. Affronta il rettangolo verde come una faccenda privatissima e importantissima. E non si ferma.
‘Di cosa si tratta?’ mi chiedo ‘ di assoluta concentrazione o di un’attenzione vaga e dispersa tra mille stimoli?’ allaccio le braccia al petto e respiro un poco più forte ‘di cosa è fatto il nucleo della sua ricerca? Di ogni ricerca?’
Scatto la terza foto della giornata. Solo tre in dodici ore. Riprendo il cane nel momento preciso in cui cambia nuovamente direzione. Quando riguarderò la foto, mi farò un’idea più precisa della distanza quasi costante tra il suo muso e il terreno. È un cane gentile? Sempre a due centimetri dal terreno, senza mordere, leccare o strappare l’erba. Siamo abituati a pensare alla loro ricerca – cani, gatti, animali comunque, tutti insieme – come finalizzata unicamente al recupero di cibo; è curioso osservarlo in questa azione apparentemente priva di scopo. Un ricercatore irrisolto.
‘cane pazzo!’ sollevo il culo dalla panchina, alle otto e tre quarti di sera, con le nuvole pesanti appese al soffitto del cielo, la macchina fotografica che dondola sul petto, ed un indolenzimento alle cosce come sapore di anatra all’arancia. Cosce d’anatra, passo di papera. Giornata quasi finita.
Le scale che portano al mio appartamento, superata la soglia del portone di legno e ruggine che dà sulla strada, sono lisce del marmo calpestato spesso. Fatica e sudore sulla mia pelle flaccida, perché ho ancora paura dell’ascensore; tutte le mie paure entrano con me nel nuovo millennio. Cerco la chiave di casa nella borsa della macchina fotografica, tra obiettivi e filtri. Sento tutto il peso dei miei centoventi chili.
Entro velocemente, velocemente richiudo la porta alle mie spalle - ‘cane pazzo!’.
Sono già nudo quando entro in bagno. Le mie forme escono dallo specchio. Il mio sesso è nascosto, intimidito da tanta esuberanza carnale, peli e ciccia – la foresta del Vietnam, dove perdersi è più facile che sopravvivere, come in quel fumetto dove il colore delle piante, così accurato e vivo, era in realtà il colore della morte. Apro l’acqua. Mi siedo sulla tavoletta del cesso aspettando che l’acqua entri in temperatura.
‘cane pazzo! Era una ricerca senza scopo, con i sensi liberi di muoversi ovunque e ovunque soffermarsi per brevissimi istanti, e il piacere del movimento a sostenere la fatica e la lingua fuori a penzoloni ma solo nei cambi di percorso?’
Entro nella doccia e decido ‘domani cambio il box’, è troppo stretto ormai.
‘cane pazzo!’ mentre mi insapono ‘avevi un’idea precisa e maniacale di come muoverti, dell’odore da seguire, degli indizi significativi, ed il tuo tornare a distanza di alcuni minuti su alcuni percorsi già calcati, a girare intorno a quel grosso albero, davano il senso della tua assoluta concentrazione per qualcosa? Ma quali pensieri alimentavano la tua ricerca?’
‘aahh’ l’acqua sulla testa, che bagna i capelli, scende sulla mia faccia gonfia, il calore di un massaggio ricco di armonici e colori riflessi.
‘ah!’ all’improvviso, non so nemmeno come accade, scivolo, perdo il piede di appoggio, come un’amputazione, mi piego indietro, picchio la testa contro il portasapone, poi contro il rubinetto dell’acqua calda.
‘ah!!’ in piedi, in obliquo, un ginocchio spezzato, la mia ciccia che aderisce alla parete della doccia e non mi permette di raccogliermi a terra. L’acqua che scorre senza sosta.
Muoio in piedi.
Entro nella doccia e decido ‘domani cambio il box’, è troppo stretto ormai.
‘cane pazzo!’ mentre mi insapono ‘avevi un’idea precisa e maniacale di come muoverti, dell’odore da seguire, degli indizi significativi, ed il tuo tornare a distanza di alcuni minuti su alcuni percorsi già calcati, a girare intorno a quel grosso albero, davano il senso della tua assoluta concentrazione per qualcosa? Ma quali pensieri alimentavano la tua ricerca?’
‘aahh’ l’acqua sulla testa, che bagna i capelli, scende sulla mia faccia gonfia, il calore di un massaggio ricco di armonici e colori riflessi.
‘ah!’ all’improvviso, non so nemmeno come accade, scivolo, perdo il piede di appoggio, come un’amputazione, mi piego indietro, picchio la testa contro il portasapone, poi contro il rubinetto dell’acqua calda.
‘ah!!’ in piedi, in obliquo, un ginocchio spezzato, la mia ciccia che aderisce alla parete della doccia e non mi permette di raccogliermi a terra. L’acqua che scorre senza sosta.
Muoio in piedi.
sabato 21 febbraio 2009
venerdì 20 febbraio 2009
Ambasciatore
Vado da un esperto di riflessologia plantare per un disturbo che mi porto dietro da anni.
È la seconda volta. Lavora sui miei piedi con leggerezza. Solo in alcuni punti sento una maggiore pressione e, in un paio di volte, un bruciore lancinante.
Poi mi chiede se mi viene spesso raffreddore o altri disturbi alle vie respiratorie.
Gli rispondo molto meno di un tempo. Quest’anno non ho ancora avuto disturbi, gli dico.
Dopo quattro ore sento mal di gola e la testa che rimbomba come fosse piena di bambagia.
Uccello del malaugurio?
O ambasciatore?
L’altra volta mi dice tu sei una persona tranquilla, vero?
Ci penso. Non so cosa rispondergli. Io, l’emotività fatta a persona.
Oggi si, gli dico, ci lavoro giorno dopo giorno dopo giorno.
Ma ho paura delle buone notizie perché è peggio di quel che si dice, penso tra me.
Ho una buona apparenza.
È la seconda volta. Lavora sui miei piedi con leggerezza. Solo in alcuni punti sento una maggiore pressione e, in un paio di volte, un bruciore lancinante.
Poi mi chiede se mi viene spesso raffreddore o altri disturbi alle vie respiratorie.
Gli rispondo molto meno di un tempo. Quest’anno non ho ancora avuto disturbi, gli dico.
Dopo quattro ore sento mal di gola e la testa che rimbomba come fosse piena di bambagia.
Uccello del malaugurio?
O ambasciatore?
L’altra volta mi dice tu sei una persona tranquilla, vero?
Ci penso. Non so cosa rispondergli. Io, l’emotività fatta a persona.
Oggi si, gli dico, ci lavoro giorno dopo giorno dopo giorno.
Ma ho paura delle buone notizie perché è peggio di quel che si dice, penso tra me.
giovedì 19 febbraio 2009
Contempo
Strano.
Invecchiando mi sembra di recuperare tempo.
Procede più lentamente, meglio
meno freneticamente.
Mi sento più a mio agio in questo tempo elastico.
Non sono più io
l'elastico tirato a destra e a manca.
Non sono più il tempo che manca.
Invecchiando mi sembra di recuperare tempo.
Procede più lentamente, meglio
meno freneticamente.
Mi sento più a mio agio in questo tempo elastico.
Non sono più io
l'elastico tirato a destra e a manca.
Non sono più il tempo che manca.
mercoledì 18 febbraio 2009
Prajñāpāramitā
Goolij Niger per De Andrè
Ho la conferma.
Mercoledì 4 marzo suoneremo al Mi Cantino di Monza all'interno di una serata in ricordo di Fabrizio De Andrè.
Suoneremo in chiusura di serata, per circa 30 minuti. Canzoni, parole, improvvisazione.
Non so ancora cosa faremo davvero. Ma sarà bello.
Ne ho già parlato qui e qui.
Mercoledì 4 marzo suoneremo al Mi Cantino di Monza all'interno di una serata in ricordo di Fabrizio De Andrè.
Suoneremo in chiusura di serata, per circa 30 minuti. Canzoni, parole, improvvisazione.
Non so ancora cosa faremo davvero. Ma sarà bello.
Ne ho già parlato qui e qui.
martedì 17 febbraio 2009
Harlem 1958
Ci sono eventi irripetibili.
Come una jam session in cui si ritrovano a suonare Mingus, Davis, Powell, Roach, Parker.
Oppure una foto in cui si riuniscono i volti di molti, moltissimi musicisti che negli anni '50 hanno fatto la storia del jazz. La sfida è provare a riconoscerli.
La foto è di Art Kane.
Black Power!
Figlia mia
Ti guardo.
Sei donna amata moglie madre amica nemica vicina lontana.
E figlia.
Siamo tutti figli.
Penso spesso, se fossi mia figlia cosa ti direi?
Come ti amerei?
Se fossi mia figlia e sapessi amarti senza condizioni.
Sei donna amata moglie madre amica nemica vicina lontana.
E figlia.
Siamo tutti figli.
Penso spesso, se fossi mia figlia cosa ti direi?
Come ti amerei?
Se fossi mia figlia e sapessi amarti senza condizioni.
Citazionismo
- Ma a te è mai capitato?
- Mmh, se una notte d'inverno un viaggiatore...
- Non cambiare discorso!
- Mmh, se una notte d'inverno un viaggiatore...
- Non cambiare discorso!
Scala immobile
Il coraggio è imboccare per primi una scala mobile ferma.
Scala mobile immobile.
Scala nobile. Scala reale.
Scala leale quando ci sali sopra che è immobile e parte.
Scala a chiocciola. Scala a lumaca.
Scala contraria quando ci sali sopra che vuoi andare su
e lei scende.
Scala ignobile.
Scala mobile.
Scala mobile immobile.
Scala nobile. Scala reale.
Scala leale quando ci sali sopra che è immobile e parte.
Scala a chiocciola. Scala a lumaca.
Scala contraria quando ci sali sopra che vuoi andare su
e lei scende.
Scala ignobile.
Scala mobile.
lunedì 16 febbraio 2009
Creuza de Ma
Si diceva, a proposito di De Andre'...
Io ri-ascolto Creuza de ma per la prima volta.
Mentre sono immerso nella nebbia della Brianza, seduto al fuoco della stufa, appoggio l’orecchio e non capisco…
De Andrè… cosa è successo a Fabrizio? Da dove vengono questi suoni misteriosi, da quale ricordo provengono? Dove sono le filastrocche, che mandavo a memoria sotto la doccia? E questo strano modo di cantare, più eloquente, più umorale, più infuocato e ventoso!
Quando si cammina a lungo, o si naviga per mari lucenti e mossi, la schiena si storta un poco, le viscere si contorcono, i linguaggi si contaminano, le rughe sul viso aumentano a causa del sole all’orizzonte.
Poi, ad un certo punto si sente il bisogno di fermarsi, di sedere e mettere casa. E non importa se ci si trova in Sardegna o a Genova. L’importante è poter raccogliere le forze e le idee, e magari scrivere qualche musica e ritrovare un canto nuovo.
Creuza de ma è il canto del mare e del sole. Della sessualità infuocata – come sono seducenti e vive queste canzoni!
Crueza de ma è la retorica dell’ostrica, una conchiglia anonima e fangosa a nascondere una perla.
De Andre' poteva celebrare in tanti modi Genova e le terre di confine. Poteva descrivercele come si fa con la propria madre, con dolcezza e candore. O come la propria troia, con desiderio e colpa. O come il proprio padre, duro e rigoroso. O come la propria promessa di vita, speranzosa e bugiarda.
Sono tutti punti di vista diversi, che Fabrizio ci restituisce senza pudore. Con evocazione e brevità. Sembrano sculture di ceramica refrattaria. Con quel sole che ne esalta la lucentezza o quella luna che ci mostra l’ombra dei solchi.
Sono troppe le idee che non smettono di sorprendere, in queste brevi, poche canzoni. Che spiazzano e confondono, ma arrivano al cuore, come le onde alla riva.
È un ritorno, come l’eterno ritorno del mare, con le sue tradizioni, con le sue risacche culturali, con le sue onomatopee, con i suoi strumenti di legno e pelle di pecora.
Forse, con l’orecchio e la testa di oggi, testa da cd, si vorrebbe che quel disco fosse un po’ più lungo, con un po’ più di respiro, un po’ più di musica senza voce. Che si potessero trovare nuovi riferimenti e nuovi appoggi su quelle danze rituali, senza per questo dimenticare che sono canzoni.
Noi che proviamo a scriverne, di canzoni d’autore, potremmo chiederci a che punto siamo. Se stiamo andando avanti o tornando indietro. Se abbiamo bisogno davvero del primo-quarto-quinto primo con una chitarra scordata, o se la semplicità non stia piuttosto nell’idea, limpida e spietata, che nasce dal desiderio e dalla memoria e il resto non sia altro che pigrizia e ignoranza. Perché la musica e la creazione sono fatica, ricerca, mal di testa a caccia della nota giusta, della parola giusta.
E la risposta non è nella musica etnica. Come non è in Satie. La risposta è nelle esperienze di vita di tutti i giorni. Nelle emozioni che ci percorrono come conduttori elettrici.
La vicinanza con il centro del mondo, con il suo fuoco, e con la nostra vera voce.
Lasciando da parte il narcisismo, dovremmo davvero chiederci dove siamo. A che punto siamo e dove vogliamo andare.
Forse ri-ascoltando Creuza de ma per la prima volta, potremmo trovare qualche risposta.
In cima al tetto di quella casa bianca sembra trovarsi un’altra casa, appoggiata a una collina di sabbia. Questa è Creuza de ma…
Mentre sono immerso nella nebbia della Brianza, seduto al fuoco della stufa, appoggio l’orecchio e non capisco…
De Andrè… cosa è successo a Fabrizio? Da dove vengono questi suoni misteriosi, da quale ricordo provengono? Dove sono le filastrocche, che mandavo a memoria sotto la doccia? E questo strano modo di cantare, più eloquente, più umorale, più infuocato e ventoso!
Quando si cammina a lungo, o si naviga per mari lucenti e mossi, la schiena si storta un poco, le viscere si contorcono, i linguaggi si contaminano, le rughe sul viso aumentano a causa del sole all’orizzonte.
Poi, ad un certo punto si sente il bisogno di fermarsi, di sedere e mettere casa. E non importa se ci si trova in Sardegna o a Genova. L’importante è poter raccogliere le forze e le idee, e magari scrivere qualche musica e ritrovare un canto nuovo.
Creuza de ma è il canto del mare e del sole. Della sessualità infuocata – come sono seducenti e vive queste canzoni!
Crueza de ma è la retorica dell’ostrica, una conchiglia anonima e fangosa a nascondere una perla.
De Andre' poteva celebrare in tanti modi Genova e le terre di confine. Poteva descrivercele come si fa con la propria madre, con dolcezza e candore. O come la propria troia, con desiderio e colpa. O come il proprio padre, duro e rigoroso. O come la propria promessa di vita, speranzosa e bugiarda.
Sono tutti punti di vista diversi, che Fabrizio ci restituisce senza pudore. Con evocazione e brevità. Sembrano sculture di ceramica refrattaria. Con quel sole che ne esalta la lucentezza o quella luna che ci mostra l’ombra dei solchi.
Sono troppe le idee che non smettono di sorprendere, in queste brevi, poche canzoni. Che spiazzano e confondono, ma arrivano al cuore, come le onde alla riva.
È un ritorno, come l’eterno ritorno del mare, con le sue tradizioni, con le sue risacche culturali, con le sue onomatopee, con i suoi strumenti di legno e pelle di pecora.
Forse, con l’orecchio e la testa di oggi, testa da cd, si vorrebbe che quel disco fosse un po’ più lungo, con un po’ più di respiro, un po’ più di musica senza voce. Che si potessero trovare nuovi riferimenti e nuovi appoggi su quelle danze rituali, senza per questo dimenticare che sono canzoni.
Noi che proviamo a scriverne, di canzoni d’autore, potremmo chiederci a che punto siamo. Se stiamo andando avanti o tornando indietro. Se abbiamo bisogno davvero del primo-quarto-quinto primo con una chitarra scordata, o se la semplicità non stia piuttosto nell’idea, limpida e spietata, che nasce dal desiderio e dalla memoria e il resto non sia altro che pigrizia e ignoranza. Perché la musica e la creazione sono fatica, ricerca, mal di testa a caccia della nota giusta, della parola giusta.
E la risposta non è nella musica etnica. Come non è in Satie. La risposta è nelle esperienze di vita di tutti i giorni. Nelle emozioni che ci percorrono come conduttori elettrici.
La vicinanza con il centro del mondo, con il suo fuoco, e con la nostra vera voce.
Lasciando da parte il narcisismo, dovremmo davvero chiederci dove siamo. A che punto siamo e dove vogliamo andare.
Forse ri-ascoltando Creuza de ma per la prima volta, potremmo trovare qualche risposta.
In cima al tetto di quella casa bianca sembra trovarsi un’altra casa, appoggiata a una collina di sabbia. Questa è Creuza de ma…
Un metro e mezzo di statura
Forse salta fuori che il sottoscritto, Stefano Chiodini e Gaetano Ievolella parteciperanno a una serata dedicata a Fabrizio De Andrè in un locale a Monza agli inizi di marzo.
Di ricorrenze per ricordare De Andrè è piena l'Italia.Ne feci una in passato, organizzata presso l'Arci Mirabello di Cantù e fui protagonista di una figuraccia degna di Celentano. Dopo aver elogiato le splendide rime che Faber costruiva in molte delle sue canzoni, sbagliai clamorosamente almeno un paio di essere durante l'esecuzione di Un Giudice, io a voce e fisarmonica e l'amico Pietro Motta alla chitarra. Pietro si incazzò moltissimo. Come lo capisco.
Una ragione sta nel fatto che non ero molto avvezzo a suonare la fisarmonica in pubblico. Troppo concentrato sullo strumento per non sbagliare.
Ma non solo. I testi di De Andrè hanno sempre avuto una funzione quasi ipnotica su di me. Per cui succede che se imbrocco l'inizio di una strofa in modo corretto ecco che tutto il resto viene automaticamente da sé in modo corretto. Ma se sbuca una minima incertezza al momento dell'attacco, tutto si scompagina e la mia mente si perde il resto della canzone. Come camminare in equilibrio su un filo. Non appena, a metà del percorso, pensi diavolo, potrei cadere e farmi male, a quel punto perdi l'equilibrio e precipiti.
Ma ragionare di e con De Andrè è sempre esaltante. La sua chiarezza poetica, il suo senso del ritmo, la sua familiarità con la vita, con tutte le vite, sono qualità senza pari. Nella scrittura, ammetto di essere piuttosto lontano dal suo stile. Amo le sue rime ma non mi piace scrivere in rima. E apprezzo poco la linearità per avvicinarmi a lui.Non è un caso forse se il pezzo che trovo più vicino alla sua poetica (ma anche qui, con beneficio di inventario. Non c'è neppure una rima!) è stato scritto a quattro mani da me e da Stefano Chiodini. Si intitola Nessuno.
Lo racconto spesso ai concerti. In origine era una poesia scritta da Stefano per un concorso. Perse il concorso clamorosamente. La presi, la adattai per una musica e divenne un brano dei Goolij Niger, uno di quei brani che quando arriva si sente e richiama l'attenzione. E in cui Stefano ci soffia dentro con il sax a più non posso.
Se questa cosa di De Andrè si concretizza, mi piacerebbe suonarlo. Vedremo.
Ecco il testo di Nessuno...
Nessuno
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa non ha spaventato nessuno
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa e non ho spaventato nessuno
sono entrata negli uffici con il passo di un cinghiale
allo sportello ho salutato come con il portinaio
poi la richiesta e la mia voce, che non ricordo se era ghiaccio oppure fuoco
1000 non bastano 474 per l’affitto 200 per le bollette
il resto per mangiare e il ragazzo...
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa non ha spaventato nessuno
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa e non ho spaventato nessuno
ho visto l’impiegato fare un movimento strano
dio che scema! lo sapevo che non sarebbe andata
forse non è stato l’impiegato forse qualcuno dietro negli uffici con un cellulare
il poliziotto mi ha sussurrato “venga signora”
il poliziotto mi ha sussurrato come si fa con gli ammalati in ospedale
1000 non bastano 474 per l’affitto 200 per le bollette
il resto per mangiare e il ragazzo...
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa non ha spaventato nessuno
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa e non ho spaventato nessuno
mi hanno messa sul giornale ma non hanno scritto il mio nome
mi hanno messa sul giornale senza il nome
mi hanno messa sul giornale senza il nome per tutelare la mia privacy
e il titolo era:
casalinga disperata tenta rapina a mano armata
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa non ha spaventato nessuno
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa e non ho spaventato nessuno
il mio nome è casalinga disperata il mio nome è nessuno
casalinga nessuno il mio nome è nessuno...
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa non ha spaventato nessuno
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa e non ho spaventato nessuno
sono entrata negli uffici con il passo di un cinghiale
allo sportello ho salutato come con il portinaio
poi la richiesta e la mia voce, che non ricordo se era ghiaccio oppure fuoco
1000 non bastano 474 per l’affitto 200 per le bollette
il resto per mangiare e il ragazzo...
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa non ha spaventato nessuno
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa e non ho spaventato nessuno
ho visto l’impiegato fare un movimento strano
dio che scema! lo sapevo che non sarebbe andata
forse non è stato l’impiegato forse qualcuno dietro negli uffici con un cellulare
il poliziotto mi ha sussurrato “venga signora”
il poliziotto mi ha sussurrato come si fa con gli ammalati in ospedale
1000 non bastano 474 per l’affitto 200 per le bollette
il resto per mangiare e il ragazzo...
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa non ha spaventato nessuno
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa e non ho spaventato nessuno
mi hanno messa sul giornale ma non hanno scritto il mio nome
mi hanno messa sul giornale senza il nome
mi hanno messa sul giornale senza il nome per tutelare la mia privacy
e il titolo era:
casalinga disperata tenta rapina a mano armata
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa non ha spaventato nessuno
nessuno mi ha preso sul serio nessuno
il coltello nella borsa e non ho spaventato nessuno
il mio nome è casalinga disperata il mio nome è nessuno
casalinga nessuno il mio nome è nessuno...
testo e musica di Stefano Chiodini e Guglielmo Nigro (2004)
domenica 15 febbraio 2009
Fasi di vita
Sole e vento.
Domenica. Terminata la doccia, scrivo.
La settimana è stata impegnativa. Sviluppi e ricorsi.
Fino a venerdì ho accumulato tensioni ed emozioni intense. Ero il vento mosso di questi giorni.
Ero cosciente, pienamente consapevole, dell’incapacità della mia mente di staccarsi e prendere spazio dall’incedere incalzante dei pensieri e delle emozioni.
Con il fine settimana la fase è terminata e sono entrato in un'altra.
Venerdì pomeriggio faccio una terapia con il massaggio sonoro e il canto. La mia amica paziente arriva con il solito peso di idee e tensioni accumulate sulle spalle. Lavoriamo per poco meno di un’ora, lei distesa sul pianoforte, io alla tastiera, e insieme intrecciamo un’improvvisazione musicale, voce e piano. Il mattino dopo, mi avrebbe inviato un sms nel quale mi ringraziava perché sentiva le spalle, quelle sue spalle annientate, sbloccate e mobili e leggere. Le avrei risposto che era merito del suo canto.
Dopo la terapia, faccio un bagno caldo con l’argilla. Al momento dell’immersione, il primo pensiero è da quanto tempo non facevo un bagno. Mi sorprendo della pienezza della sensazione. Mi richiama immediatamente al momento presente. La mente per un attimo si calma.
Mi asciugo. L’argilla rimane tra i capelli. Mi risciacquo. Resta tra i capelli che si fanno secchi e a punta.
Venerdì sera mi ritrovo con il Sangha di Barzanò per due ore di meditazione. È un incontro piacevole, nel quale sento un livello altissimo di energia mobilitarsi per tutto il corpo. Sento caldo. Sento il fuoco. Seguo quel movimento, rifletto sui punti in cui si immobilizza. Dolorosamente.
Sabato mattina mi sveglio alle 7. Senza sveglia. Mi siedo nel letto, Lorelei dorme. Gabo dalla sua stanza emette ogni tanto qualche colpo di tosse ma dorme profondamente. Durante la meditazione percepisco ancora l’energia con un’intensità fortissima e chiara. Ne comprendo, di nuovo, l’origine e le ragioni. E sento che si blocca nei punti a me noti, dove negli anni si sono strette le mie somatizzazioni. Provo sensazioni ambivalenti. Da un lato il piacere di rimanere in ascolto. Dall’altro il desiderio di scappare lontano. Penso alla corsa. Decido di correre. Non corro mai. Non ho fiato, penso. Eppure in quel momento mi sembra la cosa più sensata e vitale da fare.
Alle 8 esco e inizio a correre. Ci sono due gradi sotto zero. Il sole è luminoso. Il verde è intenso e l’aria pizzica la faccia. Neppure per un istante sento freddo o disagio. Inizio a correre dai primi passi, seguendo con leggera attenzione il respiro. Corro per più di 50 minuti, fermandomi un paio di volte a respirare, a osservare, a fotografare, a canticchiare. Durante i primi 100 passi sento una forte tensione bruciante all’altezza del diaframma. Pian piano si indebolisce e scompare. L’energia ricomincia a muoversi.
Al termine della corsa sono stanco, le gambe pesanti, ma non esausto, non consumato. Al contrario, sento che ho favorito il movimento dell’energia che mi aveva ingabbiato. Ringrazio la libertà che mi offre l’improvvisazione nella vita quotidiana.
A casa, Gabo e Lorelei sono svegli. Colazione. Spesa al supermercato. Un sms mi avvisa che è nata Giorgia. I miei amici Stefano e Lisa entrano anch’essi in una nuova fase.
Pranzo leggero. Nel primo pomeriggio conduco un seminario di musicoterapia. Parliamo di paesaggio sonoro. Il battito del cuore, il respiro. Balliamo. Mi sento stanco. Mi sento pieno di vita.
Sabato sera da amici. Leggerezza.
Questa mattina mi alzo alle 8. Medito per mezz’ora, tutto fluisce liberamente. Arriva Gabo, zampettante con le sue ciabattine rumorose. Colazione. Passeggiata di due ore tutti insieme nella valle assolata che unisce Perego a Montevecchia. Gabo siede nello zaino.
Sono completamente centrato. Appoggiato al mio respiro, sento la fatica del passo, le gambe e le spalle piacevolmente indolenzite. La giornata è splendida. Sole, vento, luce, profumi, pochi suoni, spazio, movimento, intensità…
A casa, preparo i pizzoccherri. Troppo formaggio, ma buoni.
E sono qui, in una nuova fase. La respiro, rimanendo vicino al mio ritmo. La mente leggera. Mi colpisce una cosa che leggo in un libro: l’idea che l’uomo non sarebbe altro che un sistema olografico, ogni parte del corpo conterrebbe in essa tutto il corpo. Approfondirò un’altra volta.
Mangio una mela.
La settimana è stata impegnativa. Sviluppi e ricorsi.
Fino a venerdì ho accumulato tensioni ed emozioni intense. Ero il vento mosso di questi giorni.
Ero cosciente, pienamente consapevole, dell’incapacità della mia mente di staccarsi e prendere spazio dall’incedere incalzante dei pensieri e delle emozioni.
Con il fine settimana la fase è terminata e sono entrato in un'altra.
Venerdì pomeriggio faccio una terapia con il massaggio sonoro e il canto. La mia amica paziente arriva con il solito peso di idee e tensioni accumulate sulle spalle. Lavoriamo per poco meno di un’ora, lei distesa sul pianoforte, io alla tastiera, e insieme intrecciamo un’improvvisazione musicale, voce e piano. Il mattino dopo, mi avrebbe inviato un sms nel quale mi ringraziava perché sentiva le spalle, quelle sue spalle annientate, sbloccate e mobili e leggere. Le avrei risposto che era merito del suo canto.
Dopo la terapia, faccio un bagno caldo con l’argilla. Al momento dell’immersione, il primo pensiero è da quanto tempo non facevo un bagno. Mi sorprendo della pienezza della sensazione. Mi richiama immediatamente al momento presente. La mente per un attimo si calma.
Mi asciugo. L’argilla rimane tra i capelli. Mi risciacquo. Resta tra i capelli che si fanno secchi e a punta.
Venerdì sera mi ritrovo con il Sangha di Barzanò per due ore di meditazione. È un incontro piacevole, nel quale sento un livello altissimo di energia mobilitarsi per tutto il corpo. Sento caldo. Sento il fuoco. Seguo quel movimento, rifletto sui punti in cui si immobilizza. Dolorosamente.
Sabato mattina mi sveglio alle 7. Senza sveglia. Mi siedo nel letto, Lorelei dorme. Gabo dalla sua stanza emette ogni tanto qualche colpo di tosse ma dorme profondamente. Durante la meditazione percepisco ancora l’energia con un’intensità fortissima e chiara. Ne comprendo, di nuovo, l’origine e le ragioni. E sento che si blocca nei punti a me noti, dove negli anni si sono strette le mie somatizzazioni. Provo sensazioni ambivalenti. Da un lato il piacere di rimanere in ascolto. Dall’altro il desiderio di scappare lontano. Penso alla corsa. Decido di correre. Non corro mai. Non ho fiato, penso. Eppure in quel momento mi sembra la cosa più sensata e vitale da fare.
Alle 8 esco e inizio a correre. Ci sono due gradi sotto zero. Il sole è luminoso. Il verde è intenso e l’aria pizzica la faccia. Neppure per un istante sento freddo o disagio. Inizio a correre dai primi passi, seguendo con leggera attenzione il respiro. Corro per più di 50 minuti, fermandomi un paio di volte a respirare, a osservare, a fotografare, a canticchiare. Durante i primi 100 passi sento una forte tensione bruciante all’altezza del diaframma. Pian piano si indebolisce e scompare. L’energia ricomincia a muoversi.
Al termine della corsa sono stanco, le gambe pesanti, ma non esausto, non consumato. Al contrario, sento che ho favorito il movimento dell’energia che mi aveva ingabbiato. Ringrazio la libertà che mi offre l’improvvisazione nella vita quotidiana.
A casa, Gabo e Lorelei sono svegli. Colazione. Spesa al supermercato. Un sms mi avvisa che è nata Giorgia. I miei amici Stefano e Lisa entrano anch’essi in una nuova fase.
Pranzo leggero. Nel primo pomeriggio conduco un seminario di musicoterapia. Parliamo di paesaggio sonoro. Il battito del cuore, il respiro. Balliamo. Mi sento stanco. Mi sento pieno di vita.
Sabato sera da amici. Leggerezza.
Questa mattina mi alzo alle 8. Medito per mezz’ora, tutto fluisce liberamente. Arriva Gabo, zampettante con le sue ciabattine rumorose. Colazione. Passeggiata di due ore tutti insieme nella valle assolata che unisce Perego a Montevecchia. Gabo siede nello zaino.
Sono completamente centrato. Appoggiato al mio respiro, sento la fatica del passo, le gambe e le spalle piacevolmente indolenzite. La giornata è splendida. Sole, vento, luce, profumi, pochi suoni, spazio, movimento, intensità…
A casa, preparo i pizzoccherri. Troppo formaggio, ma buoni.
E sono qui, in una nuova fase. La respiro, rimanendo vicino al mio ritmo. La mente leggera. Mi colpisce una cosa che leggo in un libro: l’idea che l’uomo non sarebbe altro che un sistema olografico, ogni parte del corpo conterrebbe in essa tutto il corpo. Approfondirò un’altra volta.
Mangio una mela.
giovedì 12 febbraio 2009
Filastrocca 1211
Una vecchia poesia ispirata alla lettura di V For Vendetta di Moore e Lloyd.
Nome in codice “V”.
Tengo il tango sotto le scarpe. Anche e bacino, scivolare di piedi e stoffe sottili.
È solo un gioco di parole…
Mi impressiono guardando ad occhi chiusi le luci rosse dietro alle palpebre, mentre premo le mani sugli occhi. Non trovo silenzio perché il silenzio fugge ogni ricerca. Sono avvilito dalla ricerca.
Nella libertà delle scelte c’è la forza dell’errore: la possibilità, l’esigenza di fare la scelta sbagliata. Ci costruiamo gabbie per il gusto di abbatterle? Oppure, per la semplice ragione del pianto?
Sono stato in casa di matti, in casa di savi. Il gioco della cerbottana nascosta tra le dita, il soffio del polline e il bacio rubato. Un camino acceso, è questo il fuoco fatuo?
Nome in codice “V”.
Mi sembra che il cambiamento a volte sia un pellicano, a pescare dall’alto a caso, quel pesce che casca dal mare nel becco. In un occhio capovolto, il sopra e il sotto si assomigliano.
Perché pensiamo di avere ragione. Perché pensiamo di riconoscere l’errore. Perché sappiamo far male quanto amare.
L’amore come assuefazione. Il dolore come sveglia alla vita.
Non si può dare per scontato di vivere.
Ci sono modi diversi di pensare alle piante. Ci sono modi diversi di amare la vita. Abbracciare un albero o sfiorarne la corteccia. Cercare la sua forza nella sua immobilità. Scappare impauriti da un ramo come un gatto.
Portare sempre sulla propria schiena la propria pelliccia.
Il giorno del sorriso, tu mi hai sorriso.
Il giorno della pace, tu mi hai abbracciato.
Il giorno della memoria, tu mi hai parlato.
Il giorno del peccato, tu mi hai lasciato.
E sono sicuro di quello che dico. Sono sicuro di come lo dico.
Sono macchiato di miele sulle dita. E saccarosio sotto la lingua.
Nel cambiare un vestito i gesti si ripetono. Nel muoversi da un corpo all’altro le emozioni si ripetono. Nell’indossare una nuova maschera, i gomiti si piegano sempre allo stesso modo. L’immaginazione si apre al vuoto della persona. Della creazione scenica.
Vuoi partecipare alla fine?
Nome in codice “V”.
Nome in codice “V”.
Tengo il tango sotto le scarpe. Anche e bacino, scivolare di piedi e stoffe sottili.
È solo un gioco di parole…
Mi impressiono guardando ad occhi chiusi le luci rosse dietro alle palpebre, mentre premo le mani sugli occhi. Non trovo silenzio perché il silenzio fugge ogni ricerca. Sono avvilito dalla ricerca.
Nella libertà delle scelte c’è la forza dell’errore: la possibilità, l’esigenza di fare la scelta sbagliata. Ci costruiamo gabbie per il gusto di abbatterle? Oppure, per la semplice ragione del pianto?
Sono stato in casa di matti, in casa di savi. Il gioco della cerbottana nascosta tra le dita, il soffio del polline e il bacio rubato. Un camino acceso, è questo il fuoco fatuo?
Nome in codice “V”.
Mi sembra che il cambiamento a volte sia un pellicano, a pescare dall’alto a caso, quel pesce che casca dal mare nel becco. In un occhio capovolto, il sopra e il sotto si assomigliano.
Perché pensiamo di avere ragione. Perché pensiamo di riconoscere l’errore. Perché sappiamo far male quanto amare.
L’amore come assuefazione. Il dolore come sveglia alla vita.
Non si può dare per scontato di vivere.
Ci sono modi diversi di pensare alle piante. Ci sono modi diversi di amare la vita. Abbracciare un albero o sfiorarne la corteccia. Cercare la sua forza nella sua immobilità. Scappare impauriti da un ramo come un gatto.
Portare sempre sulla propria schiena la propria pelliccia.
Il giorno del sorriso, tu mi hai sorriso.
Il giorno della pace, tu mi hai abbracciato.
Il giorno della memoria, tu mi hai parlato.
Il giorno del peccato, tu mi hai lasciato.
E sono sicuro di quello che dico. Sono sicuro di come lo dico.
Sono macchiato di miele sulle dita. E saccarosio sotto la lingua.
Nel cambiare un vestito i gesti si ripetono. Nel muoversi da un corpo all’altro le emozioni si ripetono. Nell’indossare una nuova maschera, i gomiti si piegano sempre allo stesso modo. L’immaginazione si apre al vuoto della persona. Della creazione scenica.
Vuoi partecipare alla fine?
Nome in codice “V”.
Conduttore elettromagnetico
Dopo il vento di ieri
che si è appoggiato sul mio petto
stretto,
oggi mi concentro sull'idea
di non essere altro che
un conduttore elettromagnetico Ikea.
la marca è per la stupida rima
il Poeta si rattrista
ma mi sento figlio di Borges
che si è appoggiato sul mio petto
stretto,
oggi mi concentro sull'idea
di non essere altro che
un conduttore elettromagnetico Ikea.
la marca è per la stupida rima
il Poeta si rattrista
ma mi sento figlio di Borges
mercoledì 11 febbraio 2009
Prima della nascita e dopo la morte
Qualche mese fa lessi una vignetta straordinaria di ElleKappa. Non riesco a recuperarla, per cui la racconto.
Le solite due donne dialogano.
La prima dice:
Hai visto quanta attenzione per la vita umana ha la Chiesa?
La seconda risponde:
Si. Ma solo prima della nascita e dopo la morte.
Qui accanto trovate poi una splendida striscia di Gipi per Internazionale. Grazie di cuore, Gipi.
martedì 10 febbraio 2009
Allevi chi?
In un recente post sulla critica e il fumetto, in un passaggio, Harry Naybors parla male di Giovanni Allevi (e di Ramazzotti ma questo è più comune).
Scopro solidarietà da diversi amici e, soprattutto, che persone ben più illustri di Harry si sono espresse su di lui.
Riporto un recente scambio che trovo di estrema chiarezza e lucidità.
Uto Ughi (il più importante violinista italiano vivente) dice:
«Che spettacolo desolante! Vedere le massime autorità dello Stato osannare questo modestissimo musicista. Il più ridicolo era l’onorevole Fini, mancava poco si buttasse in ginocchio davanti al divo». Uto Ughi non ha troppo apprezzato il concerto natalizio promosso dal Senato della Repubblica che ha avuto come protagonista il pianista Giovanni Allevi. Il nostro violinista lo ha ascoltato - «fino alla fine, incredulo» - dalla sua casa di Busto Arsizio e ne è rimasto «offeso come musicista. Pianista? Ma lui si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore. La cosa che più mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà. Il suo successo è il termometro perfetto della situazione del Nostro Paese: prevalgono sempre le apparenze».
Enrico Rava (il più celebre trombettista jazz italiano), intervistato recentemente sulla questione:
- Che ne pensa del giudizio di Uto Ughi su Allevi?
- Allevi? Non commento... è come sparare sulla croce rossa.
Amen.
Un grazie speciale alle invenzioni di Neri Marcorè.
Scopro solidarietà da diversi amici e, soprattutto, che persone ben più illustri di Harry si sono espresse su di lui.
Riporto un recente scambio che trovo di estrema chiarezza e lucidità.
Uto Ughi (il più importante violinista italiano vivente) dice:
«Che spettacolo desolante! Vedere le massime autorità dello Stato osannare questo modestissimo musicista. Il più ridicolo era l’onorevole Fini, mancava poco si buttasse in ginocchio davanti al divo». Uto Ughi non ha troppo apprezzato il concerto natalizio promosso dal Senato della Repubblica che ha avuto come protagonista il pianista Giovanni Allevi. Il nostro violinista lo ha ascoltato - «fino alla fine, incredulo» - dalla sua casa di Busto Arsizio e ne è rimasto «offeso come musicista. Pianista? Ma lui si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore. La cosa che più mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà. Il suo successo è il termometro perfetto della situazione del Nostro Paese: prevalgono sempre le apparenze».
Enrico Rava (il più celebre trombettista jazz italiano), intervistato recentemente sulla questione:
- Che ne pensa del giudizio di Uto Ughi su Allevi?
- Allevi? Non commento... è come sparare sulla croce rossa.
Amen.
Un grazie speciale alle invenzioni di Neri Marcorè.
Iniziare presto
Ho iniziato a meditare in modo confuso e, a tratti, disperato circa sette anni fa.
Credo di non sbagliare.
Alcuni incontri importanti sulla mia strada mi hanno permesso di riflettere sull'armatura psicosomatica che mi portavo dietro tutti i giorni, sulle mie emozioni, le mie convinzioni.
A quel punto, semplicemente, ho iniziato a sedermi in ascolto. A osservarmi.
La prima reazione è stata di paura. Angoscia. Senso di impotenza.
In mezzo a tutto quel mare in movimento, a quelle onde immense, ho avuto la fortuna di provare piccoli attimi di pace. E da lì la voglia e la determinazione di proseguire la ricerca.
Qualche mese fa, in concomitanza con alcuni importanti e duri episodi nella mia vita, è successo qualcosa che si stava preparando da tempo, liberandomi da un errore fortemente radicato.
L'errore era la speranza, la ricerca e il desiderio forsennato di far sparire i pensieri e i dolori, di impormi il silenzio e di muovere consapevolezza ed energia nella direzione da me desiderata.
Non funziona così.
Più la volontà si pone al comando, meno cose accadono quando sei in meditazione. Lo si impara nella pratica.
Ed ecco che, un giorno, compresso più di sempre dal mio solito, familiare dolore addominale, mi sono messo seduto, in attesa, con in testa una sola idea: non cercare di fissare l'energia da qualche parte, né tantomeno di farla muovere da lì, da dove fa più male. L'energia può spontaneamente circolare. Le tensioni psicosomatiche possono semplicemente mobilitarsi.
Dopo pochi minuti qualcosa di forte, non descrivibile, imprevedibile si è mosso. L'energia è risalita di colpo verso il centro tra i due occhi. Nessuna volontà da parte mia, un moto spontaneo e totalizzante, da rimanerne sorpreso e spaventato.
Da quel momento il mio equilibrio energetico e psicosomatico è semplicemente mutato. Le mie tensioni abituali si sono mosse e ancora oggi, nel tentativo disperato di trovare una nuova solida presa sul mio corpo, si fanno sentire. Ironicamente, riconosco soprattutto il tentativo della mia mente di localizzarle e fissarle dove non sono.
Eppure, a giorni alterni, con emozioni diverse, la mia gestalt psicosomatica ed emotiva continua a fluttuare senza trovare una nuova stasi.
Sono mesi intensi e interessanti.
A tratti, per la prima volta da quando ne ho coscienza, mi sento libero. E quando non lo sono, sorrido alle mie abitudini sapendo che il movimento continua e la trasformazione è ancora in atto.
Volevo raccontarlo.
Finora l'ho fatto pochissimo.
Chiudo gli occhi e ascolto il profumo.
La primavera si avvicina.
nota: gabo seduto sulla poltrona barbapapà sta guardando un cartone dei barbapapà.
L'illusione per chi lo osserva, però, è credibile.
Credo di non sbagliare.
Alcuni incontri importanti sulla mia strada mi hanno permesso di riflettere sull'armatura psicosomatica che mi portavo dietro tutti i giorni, sulle mie emozioni, le mie convinzioni.
A quel punto, semplicemente, ho iniziato a sedermi in ascolto. A osservarmi.
La prima reazione è stata di paura. Angoscia. Senso di impotenza.
In mezzo a tutto quel mare in movimento, a quelle onde immense, ho avuto la fortuna di provare piccoli attimi di pace. E da lì la voglia e la determinazione di proseguire la ricerca.
Qualche mese fa, in concomitanza con alcuni importanti e duri episodi nella mia vita, è successo qualcosa che si stava preparando da tempo, liberandomi da un errore fortemente radicato.
L'errore era la speranza, la ricerca e il desiderio forsennato di far sparire i pensieri e i dolori, di impormi il silenzio e di muovere consapevolezza ed energia nella direzione da me desiderata.
Non funziona così.
Più la volontà si pone al comando, meno cose accadono quando sei in meditazione. Lo si impara nella pratica.
Ed ecco che, un giorno, compresso più di sempre dal mio solito, familiare dolore addominale, mi sono messo seduto, in attesa, con in testa una sola idea: non cercare di fissare l'energia da qualche parte, né tantomeno di farla muovere da lì, da dove fa più male. L'energia può spontaneamente circolare. Le tensioni psicosomatiche possono semplicemente mobilitarsi.
Dopo pochi minuti qualcosa di forte, non descrivibile, imprevedibile si è mosso. L'energia è risalita di colpo verso il centro tra i due occhi. Nessuna volontà da parte mia, un moto spontaneo e totalizzante, da rimanerne sorpreso e spaventato.
Da quel momento il mio equilibrio energetico e psicosomatico è semplicemente mutato. Le mie tensioni abituali si sono mosse e ancora oggi, nel tentativo disperato di trovare una nuova solida presa sul mio corpo, si fanno sentire. Ironicamente, riconosco soprattutto il tentativo della mia mente di localizzarle e fissarle dove non sono.
Eppure, a giorni alterni, con emozioni diverse, la mia gestalt psicosomatica ed emotiva continua a fluttuare senza trovare una nuova stasi.
Sono mesi intensi e interessanti.
A tratti, per la prima volta da quando ne ho coscienza, mi sento libero. E quando non lo sono, sorrido alle mie abitudini sapendo che il movimento continua e la trasformazione è ancora in atto.
Volevo raccontarlo.
Finora l'ho fatto pochissimo.
Chiudo gli occhi e ascolto il profumo.
La primavera si avvicina.
nota: gabo seduto sulla poltrona barbapapà sta guardando un cartone dei barbapapà.
L'illusione per chi lo osserva, però, è credibile.
Il naviglio a vapore
Oggi ho chiacchierato con Alessandra, la responsabile del Nido privato Il Naviglio a Vapore.
Si trova in via E. Rossi 7/A a Milano, in fondo a Ludovico il Moro.
Lo spazio è nuovo, le idee sono tante e piene di creatività.
L'approccio didattico è quello di Reggio Emilia. Consiglio di andarsi a leggere un po' di cose.
Vista l'estrema affinità con la musicoterapia che pratico che, in massima sintesi, parte dalle caratteristiche, i desideri e la spontaneità delle persone per costruire un percorso di improvvisazione unico e imprevedibile ogni volta, stiamo valutando la possibilità di realizzare qualcosa insieme.
Nel frattempo ve lo segnalo. Chiunque abitasse in zona può chiedere informazioni ad Alessandra, che saprà raccontarvi con efficacia come lavorano.
Ma attenzione, è frequentato da personaggi strani:
Il leone bevitore è un avventore regolare dei locali del Nido.
Alessandra giura che si tratta di un animale estremamente affabile, quando è sveglio.
Non è quasi mai sveglio.
Informatevi!
Si trova in via E. Rossi 7/A a Milano, in fondo a Ludovico il Moro.
Lo spazio è nuovo, le idee sono tante e piene di creatività.
L'approccio didattico è quello di Reggio Emilia. Consiglio di andarsi a leggere un po' di cose.
Vista l'estrema affinità con la musicoterapia che pratico che, in massima sintesi, parte dalle caratteristiche, i desideri e la spontaneità delle persone per costruire un percorso di improvvisazione unico e imprevedibile ogni volta, stiamo valutando la possibilità di realizzare qualcosa insieme.
Nel frattempo ve lo segnalo. Chiunque abitasse in zona può chiedere informazioni ad Alessandra, che saprà raccontarvi con efficacia come lavorano.
Ma attenzione, è frequentato da personaggi strani:
Il leone bevitore è un avventore regolare dei locali del Nido.
Alessandra giura che si tratta di un animale estremamente affabile, quando è sveglio.
Non è quasi mai sveglio.
Informatevi!
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