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sabato 18 ottobre 2008

La maledizione dell'ombrello

Ricevo da Harry Naybors e, col suo consenso, pubblico.

Caro amico,
questa volta sarò breve.
C'è un autore francese che ha rivoluzionato il modo di concepire il fumetto. Questo signore si chiama Lewis Trondheim. Protagonista di lavori molteplici e multiformi, ultimamente sono rimasto colpito e affascinato da "Little Nothings", ovvero le sue pagine di diario autobiografico a fumetti. Una pratica ben conosciuta e, si potrebbe dire, piuttosto di moda negli ultimi anni. Penso a Nanni con il suo Cronachette in Italia, all'osannato (eccessivamente) Kochalka e all' ugly Jeffrey Brown negli Stati Uniti. Ma ne tralascio sicuramente molti altri.
Lewis ha qualcosa in più. Nella sua esplorazione di vita, infatti, esplora con semplicità e senza forzare anche le potenzialità del fumetto.
Troppo spesso quando pensiamo al fumetto abbiamo in mente precise caratteristiche ricorrenti. Ma il fumetto non è un genere, bensì un mezzo di comunicazione con potenzialità solo in parte esplorate. Lewis si racconta e ci racconta il fumetto. Senza razionalizzare, senza meta-comunicazione, semplicemente dando vita alle sue semplici, meravigliose tavole.
Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di autori così. Ma sono rari, perché il contesto editoriale non favorisce queste forme, e perchè la genialità è merce unica.
Ti mando un paio di tavole di esempio, stranamente entrambe incentrate sui gatti di Lewis. Che Nanni abbia visto giusto con il suo ottimo Cronachette? I gatti sono spiriti della creatività?!
A proposito, prima di salutarti, poiché non ho avuto il tempo di scansire quella tavola, ti racconto una battuta che mi ha colpito profondamente.
Lewis e la moglie decidono di prendere due micetti per i loro due figli da un amico. Li chiamano con i nomi di due aeroporti parigini perché questo è quello che avevano stabilito anni addietro nell'eventualità di avere dei mici. A fine tavola, Lewis pensa, due micetti. Bene, così se uno dovesse morire ci sarebbe comunque l'altro.
Come per i miei due figli.

Per altre tavole in inglese puoi guardare qui:
http://www.nbmpub.com/news/littlenothingblog.html

Un caro saluto,
Harry.
(c) Lewis Trondheim

domenica 7 settembre 2008

Da Harry Naybors - intellettuali?


Prosegue la mia corrispondenza con il noto critico statunitense Harry Naybors. Pubblico questa nuova lettera con il consenso dell'autore.

In un mondo migliore esisterebbero ancora gli intellettuali.
Non quei noiosi chiacchieroni da salotti televisivi. Quelli che riempiono le tv di tutto il mondo occidentale con occhiali improbabili, pose da star e voci altisonanti da cocainomani.
Ci sarebbe bisogno di intellettuali che hanno ancora qualcosa da dire, che sono ancora in grado di interpretare la nostra attualità, di offrirne una visione provocatoria, sentita, di parte.
Intellettuali che sappiano prendere parte, appunto. È, questa, una delle più gravi mancanze del nuovo millennio.
In Italia la situazione è anche peggiore.

I nuovi intellettuali, che attendo come il sole all’alba, dovrebbero conoscere e rappresentare le arti povere. Fanculo gli intellettualismi borghesi. Spero nel ritorno all’artigianato. Manuale o virtuale, materico o informatico poco importa.
E quale, tra le arti giovani, è la più artigianale di tutte?
Senza alcun dubbio il fumetto. Sono convinto che l’unico modo che ha il fumetto per diventare adulto, per essere preso sul serio, è che venga rappresentato da autori capaci di esprimere una propria visione del mondo, che la sappiano affermare a tutti, che diano forza alla loro voce, che sappiano prendere parte. Per i nuovi intellettuali il fumetto dovrebbe essere la poesia di un tempo.
Penso che il fumetto sia una delle forme di comunicazione più efficaci per sbattere in faccia alle persone questa realtà compromessa. Per sollevare qualche velo illusorio.
E invece è così triste vedere il nostro fumetto “popolare” che si occupa di tutto tranne che di attualità, che racconta di vivisezione attraverso una favoletta preconfezionata, che punta gli occhi sul dolore senza capirlo, muovendo solo facile compassione, che si rifugia nella rassicurazione della narrazione di genere, senza guizzi né originalità. Il fumetto di genere dovrebbe essere una risorsa, una possibile metafora, non un canone da ripercorrere all’infinito, già scritto.

Il fumetto ha bisogno di intellettuali che siano nella società e dalla società alzino la loro voce.
La nostra cultura ossidata e addormentata ha bisogno del fumetto.

domenica 31 agosto 2008

Da Harry Naybors - il fumetto popolare italiano


Ancora nessun nuovo racconto all’orizzonte. Ma le cose si muovono. Si sta definendo un accordo che potrebbe portare a novità molto stimolanti. In attesa di riprendere quindi la pubblicazione, vi presento, con il permesso dell’autore, una lettera del noto critico statunitense Harry Naybors. Harry è un grande conoscitore del fumetto mondiale e italiano in particolare. Ed è un caro amico, col quale intrattengo da tempo uno stimolante rapporto epistolare. La lettera che vi presento è breve ma ricca di spunti. Buona lettura.

Il fumetto popolare italiano vive su di una contraddizione.
Pensaci, è proprio così.
La casa editrice Bonelli, per molti versi IL fumetto popolare in Italia, ha diversi personaggi memorabili. Ne cito alcuni, ma è pleonastico: Tex, Mister No, Dylan Dog, Martin Mystere…
Ognuno di essi è nato, cresciuto e ha raggiunto la fama grazie alle idee dei loro creatori. G.L. Bonelli, Sergio Bonelli, Tiziano Sclavi, Alfredo Castelli e gli altri hanno dato voce ai loro personaggi attraverso le passioni, le emozioni, le idiosincrasie che li contraddistinguono. Non ci sono ragioni per dubitare che Martin Mystere è Alfredo Castelli o che Mister No è Sergio Bonelli.
Questa constatazione è tanto scontata quanto importante. Seguimi.
La contraddizione sta in questo: la logica della serie infinita vuole che il personaggio sopravviva al suo creatore. Da anni Sclavi si è de-identificato con Dylan Dog. Da anni non gli appartiene più, se non in termini di diritti e riconoscimenti. E i suoi pochi ritorni al personaggio lo confermano numero dopo numero. Alfredo Castelli resta legato a Martin Mystere più per un attitudine tutta operaia che per vocazione. Mister No è stato soffocato dall’assenza di Sergio Bonelli per anni, prima di chiudere con il ritorno malinconico del suo creatore. Una morte sana e necessaria.
Ma il problema non sono le serie che, come Mister No, chiudono. Il problema sono le serie che proseguono.
Non c’è una serie che sia una, di quelle citate, che abbia mantenuto, nel tempo, la forza, la freschezza, l’identità di quando era condotta dai suoi creatori.
Il problema non è tutto italiano. Negli Usa, i fumetti di supereroi soffrono della stessa sindrome. Con una grossa differenza: l’immobilismo italiano non permette alcun tipo di innovazione o revisionismo tipico invece del fumetto d’oltreoceano.
Nati negli anni giusti, con gli autori giusti, i personaggi Bonelli si sono immobilizzati. Sopravvivono a loro stessi, grazie all’impegno, spesso disincantato, dei nuovi autori, che raramente osano offrire il meglio delle loro idee o il meglio della loro capacità creativa. Sarebbe fatica sprecata, perché inadeguata se non rifiutata dalla redazione.

Immagina uno scenario: le serie storiche della Bonelli si interrompono tutte. Basta Tex nelle sue molte edizioni. Basta Dylan Dog, in bianco o nero o in quei pleonastici colori annuali. Stop.
Andiamo in edicola, respiriamo sereni, e vediamo decine di personaggi nuovi, di autori nuovi. Immagina la gioia di sfogliare un nuovo “fenomeno” editoriale. Non quella versione pseudo-fantascientifica di Tex che è Brad Barron. No. Qualcosa di nuovo. Originale, unico.
Ecco, immagina la rinascita del fumetto popolare. E il canto del cigno della casa editrice.
Fallimento.
Il fumetto popolare vive del passato. Nel passato.

L'immagine di Groucho in volo sul suo sigaro, un volo emblematico, è di Di Bernardo (tutti i (c) dell'autore).
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