Jiddu Krishnamurti, Il silenzio della mente, ed. Mondadori
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sabato 18 ottobre 2014
martedì 23 settembre 2014
sabato 20 settembre 2014
giovedì 9 agosto 2012
7. Conflitto; libertà; relazione
Se ci usiamo l’un l’altro per la nostra mutua gratificazione, resta forse spazio tra noi per un qualsiasi tipo di relazione? Quando usi un’altra persona per il tuo comodo, così come usi uno dei tuoi mobili, hai forse una relazione con questa persona? Hai forse una rapporto con i tuoi mobili? Puoi dire che sono tuoi, e questo è tutto; ma non hai alcuna relazione con essi. Allo stesso modo, quando utilizzi qualcuno per un tuo vantaggio fisico o psicologico, generalmente definisci quella persona come tua, la possiedi; e il possesso è forse una forma di relazione? Lo Stato usa l’individuo, e lo chiama il suo cittadino; ma non ha alcuna relazione con l’individuo, semplicemente lo usa come userebbe un attrezzo. Uno strumento è una cosa morta, e non può esserci alcuna relazione con qualcosa che è morto: quando utilizziamo un uomo per uno scopo, anche se nobile, vogliamo che sia come uno strumento, come una cosa morta. Non possiamo ovviamente usare una cosa viva, così come la nostra esigenza è di cose morte; la nostra società è basata sull’utilizzo di cose morte. L’uso di una persona da parte nostra la rende lo strumento morto della nostra gratificazione. La relazione può esistere solamente tra cose che vivono, e lo sfruttamento è invece un processo di isolamento, che porta al conflitto e all’antagonismo tra uomo e uomo.
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lunedì 30 luglio 2012
6. Noia
Il possesso estenua la mente. L’acquisizione conduce alla
mancanza di sensibilità in qualsiasi ambito si esplichi: nella conoscenza,
nella proprietà, nella virtù. La natura della mente è acquisire, assorbire, non
è così? O piuttosto, il modello che la mente si è creata per se stessa è quello
di accumulare; e in questa stessa attività la mente predispone la propria
estenuazione, la propria noia: poiché l’interesse e la curiosità sono l’inizio
dell’acquisizione, che presto però si trasforma in noia; e l’urgenza di essere
liberi dalla noia non è altro che l’ennesima forma di possesso. Così la mente
vaga dalla noia all’interesse e ancora alla noia, fino a che è completamente
esausta; e queste continue e altalenanti ondate di interesse ed esaurimento
sono ciò che noi riconosciamo come esistenza.
“Ma come si può allora essere liberi dall’acquisizione senza
impegnarci in ulteriori acquisizioni?”
Solamente cercando di sperimentare e verificare la verità
dell’intero processo di acquisizione, e non certo cercando di non essere
acquisitivi, distaccati. Essere non acquisitivi è un’altra forma di
acquisizione che presto si trasformerebbe in estenuazione. La difficoltà, se
possiamo usare questa parola, non sta nella comprensione verbale di ciò che è
stato detto, ma di sperimentare il falso come falso: vedere la verità nella
falsità è l’inizio della saggezza.
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mercoledì 25 luglio 2012
5. Progresso e rivoluzione
La rivoluzione fondamentale si avrà solo se si arriva alla
comprensione del processo globale dell’azione: non a un qualsiasi livello,
economico o ideologico, ma considerando l’azione come un tutto integrato.
Solamente in questi termini l’azione non sarà reazione. Tu conosci invece la
reazione: la reazione dell’antitesi, e l’ulteriore reazione che chiami sintesi;
mentre l’integrazione non è una sintesi intellettuale, una conclusione verbale
basata su uno studio storico. L’integrazione può realizzarsi e divenire solo
attraverso la comprensione della reazione. La mente è una serie di reazioni; e
la rivoluzione basate sulle reazioni, sulle idee, non è per niente una
rivoluzione, ma solamente una continuità modificata di ciò che è già stato.
Puoi anche chiamarla rivoluzione, ma di fatto non lo è. […]
La rivoluzione basata su un’idea, per quanto logica e in
accordo con l’evidenza storica, non può portare all’eguaglianza, poiché come
abbiamo detto, la funzione stessa dell’idea è quella di separare le persone. Un
qualsivoglia credo, religioso o politico, pone gli uomini contro gli uomini.
Non a caso, le cosidette religioni hanno diviso le persone, e continuano a
farlo: il credo organizzato, chiamato religione, è, come una qualsiasi altra ideologia,
un’istanza della mente e quindi separativa in quanto tale. […]
È l’amore, l’unico fattore che può portare a una rivoluzione
fondamentale; l’amore è l’unica autentica rivoluzione; ma l’amore non è
un’idea: è quando il pensiero non è.
L’amore non è uno strumento di propaganda; non è qualcosa che si studia e si
urla dai tetti delle case. Solo quando la bandiera, il credo, il leader, l’idea
come azione pianificata scompariranno, allora potrà esserci amore; ed è l’unica
rivoluzione costante e creativa.
Jiddu Krishnamurti, Il silenzio della mente, ed. Mondadori
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domenica 15 luglio 2012
4. Il processo dell’odio
L’amore è la fiamma senza il fumo del pensiero, della gelosia, dell’antagonismo, della convenienza, creazioni che appartengono alla mente. Finché il cuore sarà appesantito con le creazioni della mente, ci sarà spazio per l’odio; poiché la mente è la sede dell’odio, dell’antagonismo, dell’opposizione, del conflitto. Il pensiero è una reazione, e la reazione è sempre, in un modo o nell’altro, origine di conflitto. Il pensiero è opposizione, odio; il pensiero è sempre in competizione, sempre persegue un fine, un obiettivo; la sua soddisfazione è il piacere e la sua frustrazione è l’odio. Il conflitto è il pensiero contesto tra gli opposti; e la sintesi degli opposti è ancora odio, antagonismo. […]
Più forte è l’ideale, più profonda è la repressione, più
profondi il conflitto e l’antagonismo. […]
Esiste una sorta di orgoglio nella conoscenza, e non è altro
che un’ennesima forma di antagonismo. Passiamo da un surrogato a un altro, ma
essenzialmente tutte le sostituzioni si equivalgono, anche se da un punto di
vista puramente verbale possono apparire molto diverse. […]
Ciò che devi fare è provare a essere passivamente
consapevole dell’intero processo del pensiero, e anche del desiderio di essere finalmente affrancata.
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venerdì 13 luglio 2012
3. Paura della solitudine interiore
Quanto è necessario morire ogni giorno, ogni minuto! Morire
a tutto, ai molti ieri e al momento appena trascorso. Senza la morte non può
esserci rinnovamento, senza la morte non può esserci creazione. Il peso del
passato fa nascere la sua stessa continuità, e la preoccupazione di ieri dà
nuova vita alla preoccupazione di oggi. Lo ieri si perpetua nell’oggi, e il
domani è ancora ieri: non esiste alcun sollievo da questa continuità se non
nella morte. C’è gioia nel morire. Questa nuova mattina, fresca e chiara, è
libera dalla luce e dall’oscurità di ieri; il canto di quell’uccello lo
sentiamo per la prima volta, e il
vocio di quei bimbi non è lo stesso di ieri. Portiamo con noi la memoria di
ieri, e questa oscura le nostre esistenze. Fino a che la nostra mente resterà
un meccanismo meccanico della memoria, non conoscerà tregua, quiete, riposo,
silenzio; continuerà a logorarsi. Ciò che è immobile può ancora rinascere, ma
ciò che è in costante movimento si consuma, si logora e diventa inutile. La
fonte perenne si va esaurendo e la morte è vicina come la vita.
Jiddu Krishnamurti, Il silenzio della mente, ed. Mondadori
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2. Condizionamento
L’attaccamento al tuo lavoro è la tua via di fuga. Esistono
vie di fuga a ogni livello della nostra esistenza. Tu fuggi da te stesso attraverso
il tuo lavoro, altri dedicandosi al bere, altri ancora per mezzo di cerimonie
religiose; e c’è chi fugge con la conoscenza, con la ricerca di Dio, e che è
dipendente e drogato dal divertimento. Dio e l’alcol sono sullo stesso piano
nel momento in cui rappresentano una fuga da ciò che noi veramente siamo: solo
quando riusciamo a essere finalmente consapevoli delle nostre fughe potremo
riconoscere il nostro condizionamento.
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1. Felicità creativa
Prima di essere contaminati dalla cosiddetta educazione,
molti bambini sono in contatto con l’inconoscibile: e lo dimostrano in
tantissimi modi. Ma presto l’ambiente incomincia a rinchiudersi su di loro, e
crescendo sono destinati a perdere quella voce, quella bellezza che non si
trova in nessun libro e non si impara in nessuna scuola. Perché? Non diciamo
che la vita è troppo per loro, che devono affrontare la dura realtà
dell’esistenza, che è il loro karma, che è il peccato originale: tali
affermazioni sono senza senso. La felicità creativa è per tutti e non solo per
pochi: tu puoi esprimerla in un modo e io in un altro, ma continua a essere per
tutti. la felicità creativa non ha un valore di mercato; non è un bene che può
essere venduto al miglior offerente, ma è la sola cosa che può essere di tutti,
per tutti.
Jiddu Krishnamurti, Il silenzio della mente, ed. Mondadori
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sabato 23 giugno 2012
52. Gelosia
immagine dalla rete
Premessa:
Nel riportare le citazioni di Jiddu Krishnamurti dal libro La mia strada è la tua strada (ed. Mondadori), ho sempre cercato la sintesi e quelli che a mio avviso sono gli stralci più significativi. Tuttavia, Krishnamurti va letto per intero, perché la sua capacità di scrittura era straordinariamente alta, poetica, evocativa, per quanto a volte difficile. Nel libro, ogni capitolo segue una struttura ricorrente, con un'introduzione di lunghezza variabile che presenza "la scena", dove Krishnamurti tocca momenti altissimi di scrittura. Per queste ragioni, ho deciso di riportare per intero il capitolo 52, che trovo in assoluto il più bello, chiaro e forte dell'intero libro; dalla rappresentazione iniziale della bimba, alla veloce e toccante riflessione sulla sua futura sofferenza, alla lezione lucida sull'amore: la fiamma senza fumo.
Il sole si rifletteva fulgido sul bianco muro di fronte e il suo riverbero rendeva i volti oscuri. Una bimbetta, senza il permesso della madre, venne a sedersi vicino, gli occhi spalancati, chiedendosi che cosa mai stesse accadendo intorno. Era stata lavata e vestita appena allora e aveva dei fiori nei capelli. Stava osservando accuratamente ogni cosa, come fanno i bambini, senza registrare poi molto. I suoi occhi scintillavano ed ella non sapeva bene che cosa fare, se mettersi a piangere, a ridere o a saltare; invece, mi prese una mano e la osservò con profondo interesse. Dopo qualche tempo si dimenticò di tutte le persone che si trovavano nella stanza, si rilassò e finì per addormentarsi con la testa sulle mie ginocchia. Aveva una bella testina, ben fatta e proporzionata; e tutta la sua persona era pulita fino all’immacolatezza. Il suo avvenire era confuso e triste come quello di tutti gli altri esseri presenti nella stanza. I suoi conflitti e le sue pene erano altrettanto inevitabili quanto il sole sul muro di fronte; perché l’essere affrancati dal dolore e dall’infelicità esige una suprema intelligenza, e la sua educazione e le influenze che la circondavano avrebbero provveduto a negarle questa intelligenza. L’amore è così raro in questo mondo, l’amore, quella fiamma senza fumo; il fumo è dominante, soffoca tutto, porta lacrime e angoscia. È raro vedere la fiamma attraverso il fumo; e quando il fumo diventa di importanza fondamentale, la fiamma muore. Senza la fiamma dell’amore, la vita non ha significato, diviene tediosa e pesante; ma la fiamma non può esistere nel fumo che tutto oscura. Le due cose non possono esistere insieme; il fumo deve cessare perché sia la fiamma limpida. La fiamma non è rivale del fumo; essa non ha rivali. Il fumo non ha la fiamma, non può contenere la fiamma; né il fumo indica la presenza della fiamma, perché la fiamma è libera dal fumo.
“Non possono amore e odio coesistere? La gelosia non è un indizio dell’amore? Ci teniamo le mani e un minuto dopo rimbrottiamo; diciamo cose dure, cattive e in breve ci abbracciamo. Bisticciamo, poi ci baciamo e abbiamo fatto la pace. Tutto questo non è forse amore? La stessa espressione della gelosia è una manifestazione dell’amore; essi paiono andare insieme, come la luce e le tenebre. La facile ira e la pronta carezza, non rappresentano esse forse la pienezza dell’amore? Il fiume è insieme turbolento e calmo; scorre tra l’ombra e la luce del sole, e proprio in ciò sta la bellezza del fiume.”
Che cos’è quello che chiamiamo amore? È l’intero campo della gelosia, della lussuria, delle parole dure, delle carezze, del tenersi le mani, dei litigi e delle riconciliazioni. Questi sono i fatti in questo campo del cosiddetto amore. Ira e carezze sono fatti quotidiani in questo campo, non è vero? E noi ci studiamo di stabilire un rapporto tra i vari fatti, o mettiamo un fatto a paragone di un altro. Usiamo un fatto per condannarne o giustificarne un altro nei limiti di questo stesso campo, o tentiamo di stabilire un rapporto tra un fatto entro il campo e un altro esterno ad esso. Non prendiamo ogni fatto separatamente, ma cerchiamo di trovare un’interdipendenza tra di loro. Perché facciamo così? Possiamo comprendere un fatto solo quando non usiamo un altro fatto nello stesso campo come mezzo di comprensione, la qual cosa semplicemente genera conflitto e confusione. Ma perché poniamo a paragone i vari fatto dello stesso campo? Perché ricorriamo al significato di un solo fatto per contrapporne o spiegarne un altro?
“Comincio ad afferrare quello che volete dire. Ma perché facciamo tutto ciò?”
Comprendiamo noi un fatto attraverso lo schermo dell’idea, attraverso lo schermo della memoria? Comprendo io forse la gelosia perché ho tenuto la vostra mano tra le mie? Il tenere la mano è un fatto, come la gelosia è un fatto; ma comprendo forse il processo della gelosia per aver tenuto la vostra mano? La memoria è un aiuto alla comprensione? La memoria confronta, modifica, condanna, giustifica o identifica; ma non può dare la comprensione. Noi affrontiamo i fatti nel campo del cosiddetto amore con l’idea, la conclusione. Non prendiamo il fatto della gelosia così com’è e lo osserviamo in silenzio, ma vogliamo contorcere il fatto secondo il modello, la conclusione; e lo affrontiamo in questo modo perché in realtà non desideriamo comprendere il fatto della gelosia. Le sensazioni della gelosia sono stimolanti come una carezza; ma vogliamo lo stimolo senza il dolore e il disagio che invariabilmente l’accompagnano. Così che c’è conflitto, confusione e antagonismo entro quel campo che noi chiamiamo amore. Ma è poi amore? L’amore è forse un’idea, una sensazione, uno stimolo? L’amore è gelosia?
“ La realtà non si contiene forse nell’illusione? La tenebra non circonda o nasconde la luce? Dio non è forse tenuto in servitù?”
Queste sono semplici idee, opinioni, e così non hanno validità. Idee siffatte non generano che ostilità, non raggiungono o contengono la realtà. Dove la luce è non c’è tenebra. Il buio non può nascondere la luce; se lo fa, non c’è luce. Dove è la gelosia, non c’è amore. L’idea non può avvolgere l’amore. Per accomunarsi, ci deve essere un rapporto. L’amore non è connesso all’idea, e così l’idea non può accomunarsi all’amore. L’amore è una fiamma senza fumo.
Jiddu Krishnamurti - La mia strada è la tua strada
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domenica 3 giugno 2012
26. Ripetizione e sensazione
Le nostre menti sono totalmente infarcite di tante cognizioni che è quasi impossibile fare esperienze dirette. […] Noi siamo il risultato dei pensieri e delle influenze degli altri; siamo condizionati dalla propaganda sia religiosa che politica. […] Le religioni organizzate sono fonti di propaganda efficientissime, ogni mezzo essendo usato per convincere e poi tenere. […]
La ripetizione di una verità è una menzogna. La verità non può essere ripetuta, non può essere diffusa o utilizzata. Quella che può essere usata o ripetuta non ha vita in sé, è meccanica, statica. Si può usare una cosa morta, ma non la verità. Potete prima uccidere e negare la verità, e poi usarla; ma non è più verità.
Jiddu Krishnamurti - La mia strada è la tua strada
La ripetizione di una verità è una menzogna. La verità non può essere ripetuta, non può essere diffusa o utilizzata. Quella che può essere usata o ripetuta non ha vita in sé, è meccanica, statica. Si può usare una cosa morta, ma non la verità. Potete prima uccidere e negare la verità, e poi usarla; ma non è più verità.
Jiddu Krishnamurti - La mia strada è la tua strada
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giovedì 23 febbraio 2012
Tecnica ed espressione
Imparare una tecnica può procurarci un lavoro, ma non ci rende creativi; mentre se c'è la gioia, se c'è il fuoco creativo, esso troverà il modo di esprimersi, senza bisogno di studiare un metodo espressivo. Chi vuole davvero scrivere una poesia la scrive e, se possiede la tecnica, tanto meglio; ma perché dare un'enfasi eccessiva a ciò che costituisce solo un mezzo di comunicazione se poi non si ha niente da dire? Quando c'è amore nel cuore, non abbiamo bisogno di cercare il modo di mettere insieme le parole. [...]
Per cantare dobbiamo avere un canto nel cuore, ma poiché l'abbiamo perso ci limitiamo a inseguire il cantante. Senza un intermediario ci sentiamo persi, ma dobbiamo perderci prima di poter scoprire qualsiasi cosa. La scoperta è l'inizio della creatività, e senza creatività, per quanto facciamo, non possono esserci né pace né felicità. [...]
La libertà di creare giunge con la conoscenza di sé, ma la conoscenza di sé non è un dono. Si può essere creativi anche se non si ha un talento particolare. La creatività è una condizione dell'essere in cui la mente non è tutta presa dalle esigenze e dalle attività del desiderio.
Jiddu Krishnamurti, Educare alla vita, ed. Mondadori
Per cantare dobbiamo avere un canto nel cuore, ma poiché l'abbiamo perso ci limitiamo a inseguire il cantante. Senza un intermediario ci sentiamo persi, ma dobbiamo perderci prima di poter scoprire qualsiasi cosa. La scoperta è l'inizio della creatività, e senza creatività, per quanto facciamo, non possono esserci né pace né felicità. [...]
La libertà di creare giunge con la conoscenza di sé, ma la conoscenza di sé non è un dono. Si può essere creativi anche se non si ha un talento particolare. La creatività è una condizione dell'essere in cui la mente non è tutta presa dalle esigenze e dalle attività del desiderio.
Jiddu Krishnamurti, Educare alla vita, ed. Mondadori
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lunedì 20 febbraio 2012
Educare alla vita
untitled, di akab
Proseguono le riflessioni sull'educazione e la scuola.
Oggi riporto alcuni passi di Jiddu Krishnamurti, tratti dal piccolo ma fondamentale testo Educare alla vita, ed. Mondadori (i grassetti nel testo sono miei).
Quando siamo giovani, molto spesso la famiglia e la scuola instillano in noi la paura. Né i genitori né gli insegnanti hanno la pazienza, il tempo o la saggezza di dissipare le paure istintive della fanciullezza che, a mano a mano che cresciamo, dominano i nostri atteggiamenti e giudizi creando numerosissimi problemi. Il giusto tipo di educazione deve prendere in considerazione il problema della paura, perché essa distorce completamente la nostra visione della vita. Essere privi di paura è l'inizio della saggezza, e solo la giusta educazione può determinare quella libertà dalla paura in cui fiorisce l'intelligenza più profonda e creativa.
Premio e punizione per i nostri atti non fanno che rinforzare l'egocentrismo. Agire per amore di qualcuno, in nome della patria o di Dio, conduce alla paura, e questa non può costituire la base di un'azione giusta. Se vogliamo aiutare un bambino a essere premuroso con gli altri, non dobbiamo cercare di comprarlo con l'amore, ma avere il tempo e la pazienza per spiegargli cosa vuol dire essere premurosi.
Non esiste il vero rispetto per l'altro se ci si aspetta un premio, perché la ricompensa o la punizione diventano più importanti del sentimento di rispetto. Se non rispettiamo il bambino, ma ci limitiamo a offrirgli un rinforzo positivo o negativo, non facciamo che incoraggiare l'avidità e la paura. Poiché anche noi siamo stati abituati ad agire in vista di un risultato, non capiamo come possa esistere un'azione libera dal desiderio del profitto.
Il giusto tipo di educazione incoraggerà la sollecitudine e la considerazione per gli altri senza allettamenti o minacce di alcun tipo. Se smettiamo di cercare dei risultati immediati, cominceremo a capire quanto sia importante che entrambi, l'educatore e il bambino, siano liberi dalla paura della punizione o dalla speranza del premio come da ogni altra forma di coercizione; ma finché l'autorità entrerà nella relazione, continuerà a esistere la coercizione.[...]
L'esistenza non sussiste senza relazione, e senza la conoscenza di sé qualsiasi relazione, con una sola persona o con molte, genera conflitto e dolore. Certo, è impossibile spiegarlo completamente a un bambino; ma se l'educatore e i genitori afferrano nel profondo il pieno significato della relazione, allora con l'atteggiamento, il comportamento e il modo di parlare saranno sicuramente in grado di trasmettere al bambino il senso di una vita spirituale, senza troppi discorsi o spiegazioni.[...]
La giovinezza è il periodo in cui crescere aperti e limpidi, e se noi adulti abbiamo la capacità di comprendere, possiamo aiutare i giovani a liberarsi dagli ostacoli cha la società ha loro imposto, o da quelli che essi stessi proiettano. Se la mente e il cuore del bambino non sono plasmati da preconcetti e pregiudizi religiosi, egli sarà libero di scoprire attraverso la conoscenza di sé ciò che è al di sopra di lui e che va oltre.
La vera religiosità non è un insieme di credenze e di rituali, di speranze e paure; se permettiamo al bambino di crescere senza l'ostacolo di queste influenze, allora forse, una volta maturo, comincerà a indagare la natura della realtà e di Dio. Per questo, quando si educa un bambino, sono necessari comprensione e un profondo insight.
domenica 15 gennaio 2012
25. Rinuncia delle ricchezze
Accontentarsi del poco è relativamente facile; liberarsi del peso di molte cose non è difficile, quando ci si sia messi in viaggio alla ricerca di qualche cos’altro. L’urgenza della ricerca interiore spazza via la confusione di molti beni, ma affrancarsi delle cose esterne non significa una vita semplice. […]
La semplicità non è della mente. Una semplicità premeditata è soltanto un abile adattamento, una difesa dal dolore e dal piacere; è un’attività che imprigiona e che genera varie forme di conflitto e confusione. È il conflitto che porta le tenebre, tanto all’interno quanto all’esterno. Conflitto e chiarezza non possono esistere insieme; ed è la libertà dal conflitto che dà la semplicità, non la vittoria sul conflitto. […]
Il pensiero può registrare ma non può sperimentare la libertà dal conflitto; perché la chiarezza, o semplicità, non è della mente.
Jiddu Krishnamurti - La mia strada è la tua strada
La semplicità non è della mente. Una semplicità premeditata è soltanto un abile adattamento, una difesa dal dolore e dal piacere; è un’attività che imprigiona e che genera varie forme di conflitto e confusione. È il conflitto che porta le tenebre, tanto all’interno quanto all’esterno. Conflitto e chiarezza non possono esistere insieme; ed è la libertà dal conflitto che dà la semplicità, non la vittoria sul conflitto. […]
Il pensiero può registrare ma non può sperimentare la libertà dal conflitto; perché la chiarezza, o semplicità, non è della mente.
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domenica 13 novembre 2011
24. Il silenzio
Non c’era la minima turbolenza, e quella pace continuava. Il vento passava tra i pini, le ombre si allungavano e un gatto selvatico scivolò furtivo tra i cespugli. In quel silenzio c’era movimento, e il movimento non era distrazione. Non c’era nessuna attenzione fissa da cui essere distratti. C’è distrazione quando l’interesse principale si sposta; ma in questo silenzio c’era assenza d’interesse, onde non c’era niente da cui allontanarsi vagando. Il moto non era allontanamento dal silenzio, ma parte di esso. Era la pace, non della morte, non della decadenza, ma di una vita in cui era totale mancanza di conflitto. Nella maggioranza di noi, la lotta del dolore e del piacere, l’impulso dell’attività ci danno il senso della vita; e se quell’impulso ci fosse tolto, noi ci sentiremmo perduti e in breve saremmo disintegrati. Ma quella pace e il suo movimento era creazione che si rinnovava di continuo. Era un movimento che non aveva un principio e pertanto non aveva fine; e non era continuità. […] I molti trucchi della mente scaltra erano del tutto assenti. […]
Questo silenzio non è della mente e quindi la mente non può coltivarlo o identificarsi con esso. Il contenuto di questo silenzio non è misurabile a parole.
Jiddu Krishnamurti - La mia strada è la tua strada
Questo silenzio non è della mente e quindi la mente non può coltivarlo o identificarsi con esso. Il contenuto di questo silenzio non è misurabile a parole.
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sabato 12 novembre 2011
23. Aver fede
Quanto facilmente noi distruggiamo la delicata sensibilità del nostro essere. Le lotte e le fatiche incessanti, le fughe e le paure, l’ansia in breve ottundono la mente e il cuore; e la scaltrezza della mente in gran fretta trova surrogati alla sensibilità della vita. Distrazioni, famiglia, politica, fedi e divinità prendono il posto della chiarezza e dell’amore. La chiarezza viene perduta dal sapere e dalle credenze, l’amore dalle sensazioni.
[…]
Le vie del desiderio sono sottili e se non le si comprende la fede non fa che accrescere conflitto, confusione e antagonismo. Credenza o fede, essa non è che il rifugio del desiderio.
[…]
L’attività della fede è caotica e distruttiva; potrà in un primo momento sembrare ordinata e costruttiva, ma nella sua scia c’è conflitto e dolore. Ogni specie di credenza, politica o religiosa, impedisce la comprensione dei rapporti, e non può esistere azione senza questa comprensione.
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[…]
Le vie del desiderio sono sottili e se non le si comprende la fede non fa che accrescere conflitto, confusione e antagonismo. Credenza o fede, essa non è che il rifugio del desiderio.
[…]
L’attività della fede è caotica e distruttiva; potrà in un primo momento sembrare ordinata e costruttiva, ma nella sua scia c’è conflitto e dolore. Ogni specie di credenza, politica o religiosa, impedisce la comprensione dei rapporti, e non può esistere azione senza questa comprensione.
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domenica 6 novembre 2011
22. L'io
Il processo cumulativo d’identificazione costruisce l’io, positivamente o negativamente; e la sua attività è sempre imprigionante, per vasta che sia la prigione. Ogni sforzo dell’io di essere o di non essere è un moto di allontanamento da ciò che è. Indipendentemente dal suo nome, dai suoi attributi, idiosincrasie e proprietà, che cos’è l’io? C’è sempre l’io, il se stesso quando le sue qualità siano state tolte? È questa paura a essere niente che spinge l’io all’attività; ma essa è nulla, non è che un vuoto.
Se siamo capaci di guardare bene in faccia quel vuoto, di essere con quella dolorosa solitudine e malinconia, allora la paura scompare del tutto e avviene una trasformazione radicale. Perché ciò accada, ci deve essere la sperimentazione di quel nulla – la quale viene impedita se c’è uno sperimentatore. Se c’è il desiderio di sperimentare quel nulla per poterlo vincere, per poter andare al di sopra e al di là di esso, allora non c’è sperimentazione; perché l’io, come identità, continua. Se lo sperimentatore ha un’esperienza, non c’è più lo stato di sperimentazione. È la sperimentazione di ciò che è senza darle un nome che determina la libertà di ciò che è.
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Se siamo capaci di guardare bene in faccia quel vuoto, di essere con quella dolorosa solitudine e malinconia, allora la paura scompare del tutto e avviene una trasformazione radicale. Perché ciò accada, ci deve essere la sperimentazione di quel nulla – la quale viene impedita se c’è uno sperimentatore. Se c’è il desiderio di sperimentare quel nulla per poterlo vincere, per poter andare al di sopra e al di là di esso, allora non c’è sperimentazione; perché l’io, come identità, continua. Se lo sperimentatore ha un’esperienza, non c’è più lo stato di sperimentazione. È la sperimentazione di ciò che è senza darle un nome che determina la libertà di ciò che è.
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martedì 21 dicembre 2010
21. L’individuo e la società
Noi siamo entità sociali così come siamo individui; siamo cittadini e uomini nello stesso tempo, divenienti distinti nel dolore e nel piacere. Se deve esserci pace, dobbiamo comprendere il giusto rapporto tra l’uomo e il cittadino. Naturalmente, lo Stato ci preferirebbe del tutto cittadini; ma questa è la stupidità dei governi. Noi stessi ameremmo cedere l’uomo al cittadino, perché essere cittadino è più facile che essere uomo. Essere un buon cittadino significa funzionare efficientemente nel quadro di una data società. Al cittadino si richiedono efficienza e conformismo, poi che lo rendono duro e spietato; e allora egli è capace di sacrificare l’uomo al cittadino. Un buon cittadino non è necessariamente un uomo buono; ma un uomo buono è tenuto ad essere un buon cittadino, quali che siano la sua società e il suo paese. Poiché egli è innanzitutto un uomo buono, le sue azioni non saranno antisociali, egli non si porrà contro un altro uomo. Vivrà in cooperazione con altri uomini buoni; non cercherà autorità, perché non ha autorità; sarà capace di efficienza senza la spietatezza che l’accompagna. Il cittadino tenta di sacrificare l’uomo; ma l’uomo che sta cercando l’intelligenza più alta naturalmente eviterà le stupidità del cittadino. Così lo Stato sarà contro l’uomo buono, l’uomo d’intelligenza; ma quest’uomo è libero d’ogni governo e paese.
[…]
Lo Stato, la presente società non si occupano dell’uomo interiore, ma solo dell’uomo esteriore, del cittadino. Essi possono negare l’uomo interiore, ma questo sopraffà sempre quello esteriore, distruggendo i piani abilmente studiati per il cittadino. Lo Stato sacrifica il presente per il futuro, sempre salvaguardando se stesso per il futuro; considera il futuro d’importanza suprema, non il presente. Ma per l’uomo intelligente il presente è della massima importanza, l’oggi e non il domani. Ciò che è può essere compreso soltanto con lo svanire del domani. La comprensione di ciò che è determina la trasformazione nell’immediato presente.
Jiddu Krishnamurti - La mia strada è la tua strada
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Lo Stato, la presente società non si occupano dell’uomo interiore, ma solo dell’uomo esteriore, del cittadino. Essi possono negare l’uomo interiore, ma questo sopraffà sempre quello esteriore, distruggendo i piani abilmente studiati per il cittadino. Lo Stato sacrifica il presente per il futuro, sempre salvaguardando se stesso per il futuro; considera il futuro d’importanza suprema, non il presente. Ma per l’uomo intelligente il presente è della massima importanza, l’oggi e non il domani. Ciò che è può essere compreso soltanto con lo svanire del domani. La comprensione di ciò che è determina la trasformazione nell’immediato presente.
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