domenica 31 agosto 2008

Da Harry Naybors - il fumetto popolare italiano


Ancora nessun nuovo racconto all’orizzonte. Ma le cose si muovono. Si sta definendo un accordo che potrebbe portare a novità molto stimolanti. In attesa di riprendere quindi la pubblicazione, vi presento, con il permesso dell’autore, una lettera del noto critico statunitense Harry Naybors. Harry è un grande conoscitore del fumetto mondiale e italiano in particolare. Ed è un caro amico, col quale intrattengo da tempo uno stimolante rapporto epistolare. La lettera che vi presento è breve ma ricca di spunti. Buona lettura.

Il fumetto popolare italiano vive su di una contraddizione.
Pensaci, è proprio così.
La casa editrice Bonelli, per molti versi IL fumetto popolare in Italia, ha diversi personaggi memorabili. Ne cito alcuni, ma è pleonastico: Tex, Mister No, Dylan Dog, Martin Mystere…
Ognuno di essi è nato, cresciuto e ha raggiunto la fama grazie alle idee dei loro creatori. G.L. Bonelli, Sergio Bonelli, Tiziano Sclavi, Alfredo Castelli e gli altri hanno dato voce ai loro personaggi attraverso le passioni, le emozioni, le idiosincrasie che li contraddistinguono. Non ci sono ragioni per dubitare che Martin Mystere è Alfredo Castelli o che Mister No è Sergio Bonelli.
Questa constatazione è tanto scontata quanto importante. Seguimi.
La contraddizione sta in questo: la logica della serie infinita vuole che il personaggio sopravviva al suo creatore. Da anni Sclavi si è de-identificato con Dylan Dog. Da anni non gli appartiene più, se non in termini di diritti e riconoscimenti. E i suoi pochi ritorni al personaggio lo confermano numero dopo numero. Alfredo Castelli resta legato a Martin Mystere più per un attitudine tutta operaia che per vocazione. Mister No è stato soffocato dall’assenza di Sergio Bonelli per anni, prima di chiudere con il ritorno malinconico del suo creatore. Una morte sana e necessaria.
Ma il problema non sono le serie che, come Mister No, chiudono. Il problema sono le serie che proseguono.
Non c’è una serie che sia una, di quelle citate, che abbia mantenuto, nel tempo, la forza, la freschezza, l’identità di quando era condotta dai suoi creatori.
Il problema non è tutto italiano. Negli Usa, i fumetti di supereroi soffrono della stessa sindrome. Con una grossa differenza: l’immobilismo italiano non permette alcun tipo di innovazione o revisionismo tipico invece del fumetto d’oltreoceano.
Nati negli anni giusti, con gli autori giusti, i personaggi Bonelli si sono immobilizzati. Sopravvivono a loro stessi, grazie all’impegno, spesso disincantato, dei nuovi autori, che raramente osano offrire il meglio delle loro idee o il meglio della loro capacità creativa. Sarebbe fatica sprecata, perché inadeguata se non rifiutata dalla redazione.

Immagina uno scenario: le serie storiche della Bonelli si interrompono tutte. Basta Tex nelle sue molte edizioni. Basta Dylan Dog, in bianco o nero o in quei pleonastici colori annuali. Stop.
Andiamo in edicola, respiriamo sereni, e vediamo decine di personaggi nuovi, di autori nuovi. Immagina la gioia di sfogliare un nuovo “fenomeno” editoriale. Non quella versione pseudo-fantascientifica di Tex che è Brad Barron. No. Qualcosa di nuovo. Originale, unico.
Ecco, immagina la rinascita del fumetto popolare. E il canto del cigno della casa editrice.
Fallimento.
Il fumetto popolare vive del passato. Nel passato.

L'immagine di Groucho in volo sul suo sigaro, un volo emblematico, è di Di Bernardo (tutti i (c) dell'autore).

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