Sole e vento.
Domenica. Terminata la doccia, scrivo.
La settimana è stata impegnativa. Sviluppi e ricorsi.
Fino a venerdì ho accumulato tensioni ed emozioni intense. Ero il vento mosso di questi giorni.
Ero cosciente, pienamente consapevole, dell’incapacità della mia mente di staccarsi e prendere spazio dall’incedere incalzante dei pensieri e delle emozioni.
Con il fine settimana la fase è terminata e sono entrato in un'altra.
Venerdì pomeriggio faccio una terapia con il massaggio sonoro e il canto. La mia amica paziente arriva con il solito peso di idee e tensioni accumulate sulle spalle. Lavoriamo per poco meno di un’ora, lei distesa sul pianoforte, io alla tastiera, e insieme intrecciamo un’improvvisazione musicale, voce e piano. Il mattino dopo, mi avrebbe inviato un sms nel quale mi ringraziava perché sentiva le spalle, quelle sue spalle annientate, sbloccate e mobili e leggere. Le avrei risposto che era merito del suo canto.
Dopo la terapia, faccio un bagno caldo con l’argilla. Al momento dell’immersione, il primo pensiero è da quanto tempo non facevo un bagno. Mi sorprendo della pienezza della sensazione. Mi richiama immediatamente al momento presente. La mente per un attimo si calma.
Mi asciugo. L’argilla rimane tra i capelli. Mi risciacquo. Resta tra i capelli che si fanno secchi e a punta.
Venerdì sera mi ritrovo con il Sangha di Barzanò per due ore di meditazione. È un incontro piacevole, nel quale sento un livello altissimo di energia mobilitarsi per tutto il corpo. Sento caldo. Sento il fuoco. Seguo quel movimento, rifletto sui punti in cui si immobilizza. Dolorosamente.
Sabato mattina mi sveglio alle 7. Senza sveglia. Mi siedo nel letto, Lorelei dorme. Gabo dalla sua stanza emette ogni tanto qualche colpo di tosse ma dorme profondamente. Durante la meditazione percepisco ancora l’energia con un’intensità fortissima e chiara. Ne comprendo, di nuovo, l’origine e le ragioni. E sento che si blocca nei punti a me noti, dove negli anni si sono strette le mie somatizzazioni. Provo sensazioni ambivalenti. Da un lato il piacere di rimanere in ascolto. Dall’altro il desiderio di scappare lontano. Penso alla corsa. Decido di correre. Non corro mai. Non ho fiato, penso. Eppure in quel momento mi sembra la cosa più sensata e vitale da fare.
Alle 8 esco e inizio a correre. Ci sono due gradi sotto zero. Il sole è luminoso. Il verde è intenso e l’aria pizzica la faccia. Neppure per un istante sento freddo o disagio. Inizio a correre dai primi passi, seguendo con leggera attenzione il respiro. Corro per più di 50 minuti, fermandomi un paio di volte a respirare, a osservare, a fotografare, a canticchiare. Durante i primi 100 passi sento una forte tensione bruciante all’altezza del diaframma. Pian piano si indebolisce e scompare. L’energia ricomincia a muoversi.
Al termine della corsa sono stanco, le gambe pesanti, ma non esausto, non consumato. Al contrario, sento che ho favorito il movimento dell’energia che mi aveva ingabbiato. Ringrazio la libertà che mi offre l’improvvisazione nella vita quotidiana.
A casa, Gabo e Lorelei sono svegli. Colazione. Spesa al supermercato. Un sms mi avvisa che è nata Giorgia. I miei amici Stefano e Lisa entrano anch’essi in una nuova fase.
Pranzo leggero. Nel primo pomeriggio conduco un seminario di musicoterapia. Parliamo di paesaggio sonoro. Il battito del cuore, il respiro. Balliamo. Mi sento stanco. Mi sento pieno di vita.
Sabato sera da amici. Leggerezza.
Questa mattina mi alzo alle 8. Medito per mezz’ora, tutto fluisce liberamente. Arriva Gabo, zampettante con le sue ciabattine rumorose. Colazione. Passeggiata di due ore tutti insieme nella valle assolata che unisce Perego a Montevecchia. Gabo siede nello zaino.
Sono completamente centrato. Appoggiato al mio respiro, sento la fatica del passo, le gambe e le spalle piacevolmente indolenzite. La giornata è splendida. Sole, vento, luce, profumi, pochi suoni, spazio, movimento, intensità…
A casa, preparo i pizzoccherri. Troppo formaggio, ma buoni.
E sono qui, in una nuova fase. La respiro, rimanendo vicino al mio ritmo. La mente leggera. Mi colpisce una cosa che leggo in un libro: l’idea che l’uomo non sarebbe altro che un sistema olografico, ogni parte del corpo conterrebbe in essa tutto il corpo. Approfondirò un’altra volta.
Mangio una mela.
La settimana è stata impegnativa. Sviluppi e ricorsi.
Fino a venerdì ho accumulato tensioni ed emozioni intense. Ero il vento mosso di questi giorni.
Ero cosciente, pienamente consapevole, dell’incapacità della mia mente di staccarsi e prendere spazio dall’incedere incalzante dei pensieri e delle emozioni.
Con il fine settimana la fase è terminata e sono entrato in un'altra.
Venerdì pomeriggio faccio una terapia con il massaggio sonoro e il canto. La mia amica paziente arriva con il solito peso di idee e tensioni accumulate sulle spalle. Lavoriamo per poco meno di un’ora, lei distesa sul pianoforte, io alla tastiera, e insieme intrecciamo un’improvvisazione musicale, voce e piano. Il mattino dopo, mi avrebbe inviato un sms nel quale mi ringraziava perché sentiva le spalle, quelle sue spalle annientate, sbloccate e mobili e leggere. Le avrei risposto che era merito del suo canto.
Dopo la terapia, faccio un bagno caldo con l’argilla. Al momento dell’immersione, il primo pensiero è da quanto tempo non facevo un bagno. Mi sorprendo della pienezza della sensazione. Mi richiama immediatamente al momento presente. La mente per un attimo si calma.
Mi asciugo. L’argilla rimane tra i capelli. Mi risciacquo. Resta tra i capelli che si fanno secchi e a punta.
Venerdì sera mi ritrovo con il Sangha di Barzanò per due ore di meditazione. È un incontro piacevole, nel quale sento un livello altissimo di energia mobilitarsi per tutto il corpo. Sento caldo. Sento il fuoco. Seguo quel movimento, rifletto sui punti in cui si immobilizza. Dolorosamente.
Sabato mattina mi sveglio alle 7. Senza sveglia. Mi siedo nel letto, Lorelei dorme. Gabo dalla sua stanza emette ogni tanto qualche colpo di tosse ma dorme profondamente. Durante la meditazione percepisco ancora l’energia con un’intensità fortissima e chiara. Ne comprendo, di nuovo, l’origine e le ragioni. E sento che si blocca nei punti a me noti, dove negli anni si sono strette le mie somatizzazioni. Provo sensazioni ambivalenti. Da un lato il piacere di rimanere in ascolto. Dall’altro il desiderio di scappare lontano. Penso alla corsa. Decido di correre. Non corro mai. Non ho fiato, penso. Eppure in quel momento mi sembra la cosa più sensata e vitale da fare.
Alle 8 esco e inizio a correre. Ci sono due gradi sotto zero. Il sole è luminoso. Il verde è intenso e l’aria pizzica la faccia. Neppure per un istante sento freddo o disagio. Inizio a correre dai primi passi, seguendo con leggera attenzione il respiro. Corro per più di 50 minuti, fermandomi un paio di volte a respirare, a osservare, a fotografare, a canticchiare. Durante i primi 100 passi sento una forte tensione bruciante all’altezza del diaframma. Pian piano si indebolisce e scompare. L’energia ricomincia a muoversi.
Al termine della corsa sono stanco, le gambe pesanti, ma non esausto, non consumato. Al contrario, sento che ho favorito il movimento dell’energia che mi aveva ingabbiato. Ringrazio la libertà che mi offre l’improvvisazione nella vita quotidiana.
A casa, Gabo e Lorelei sono svegli. Colazione. Spesa al supermercato. Un sms mi avvisa che è nata Giorgia. I miei amici Stefano e Lisa entrano anch’essi in una nuova fase.
Pranzo leggero. Nel primo pomeriggio conduco un seminario di musicoterapia. Parliamo di paesaggio sonoro. Il battito del cuore, il respiro. Balliamo. Mi sento stanco. Mi sento pieno di vita.
Sabato sera da amici. Leggerezza.
Questa mattina mi alzo alle 8. Medito per mezz’ora, tutto fluisce liberamente. Arriva Gabo, zampettante con le sue ciabattine rumorose. Colazione. Passeggiata di due ore tutti insieme nella valle assolata che unisce Perego a Montevecchia. Gabo siede nello zaino.
Sono completamente centrato. Appoggiato al mio respiro, sento la fatica del passo, le gambe e le spalle piacevolmente indolenzite. La giornata è splendida. Sole, vento, luce, profumi, pochi suoni, spazio, movimento, intensità…
A casa, preparo i pizzoccherri. Troppo formaggio, ma buoni.
E sono qui, in una nuova fase. La respiro, rimanendo vicino al mio ritmo. La mente leggera. Mi colpisce una cosa che leggo in un libro: l’idea che l’uomo non sarebbe altro che un sistema olografico, ogni parte del corpo conterrebbe in essa tutto il corpo. Approfondirò un’altra volta.
Mangio una mela.
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