Il primo capitolo di un romanzo mai scritto...
‘cane pazzo!’ mentre l’osservo ‘cane pazzo!’
‘sniff sniff!’ avanti tutta poi sinistra di colpo un odore che lo porta a destra un giro intorno all’albero più grosso. Affronta il rettangolo verde come una faccenda privatissima e importantissima. E non si ferma.
‘Di cosa si tratta?’ mi chiedo ‘ di assoluta concentrazione o di un’attenzione vaga e dispersa tra mille stimoli?’ allaccio le braccia al petto e respiro un poco più forte ‘di cosa è fatto il nucleo della sua ricerca? Di ogni ricerca?’
Scatto la terza foto della giornata. Solo tre in dodici ore. Riprendo il cane nel momento preciso in cui cambia nuovamente direzione. Quando riguarderò la foto, mi farò un’idea più precisa della distanza quasi costante tra il suo muso e il terreno. È un cane gentile? Sempre a due centimetri dal terreno, senza mordere, leccare o strappare l’erba. Siamo abituati a pensare alla loro ricerca – cani, gatti, animali comunque, tutti insieme – come finalizzata unicamente al recupero di cibo; è curioso osservarlo in questa azione apparentemente priva di scopo. Un ricercatore irrisolto.
‘cane pazzo!’ sollevo il culo dalla panchina, alle otto e tre quarti di sera, con le nuvole pesanti appese al soffitto del cielo, la macchina fotografica che dondola sul petto, ed un indolenzimento alle cosce come sapore di anatra all’arancia. Cosce d’anatra, passo di papera. Giornata quasi finita.
Le scale che portano al mio appartamento, superata la soglia del portone di legno e ruggine che dà sulla strada, sono lisce del marmo calpestato spesso. Fatica e sudore sulla mia pelle flaccida, perché ho ancora paura dell’ascensore; tutte le mie paure entrano con me nel nuovo millennio. Cerco la chiave di casa nella borsa della macchina fotografica, tra obiettivi e filtri. Sento tutto il peso dei miei centoventi chili.
Entro velocemente, velocemente richiudo la porta alle mie spalle - ‘cane pazzo!’.
Sono già nudo quando entro in bagno. Le mie forme escono dallo specchio. Il mio sesso è nascosto, intimidito da tanta esuberanza carnale, peli e ciccia – la foresta del Vietnam, dove perdersi è più facile che sopravvivere, come in quel fumetto dove il colore delle piante, così accurato e vivo, era in realtà il colore della morte. Apro l’acqua. Mi siedo sulla tavoletta del cesso aspettando che l’acqua entri in temperatura.
‘sniff sniff!’ avanti tutta poi sinistra di colpo un odore che lo porta a destra un giro intorno all’albero più grosso. Affronta il rettangolo verde come una faccenda privatissima e importantissima. E non si ferma.
‘Di cosa si tratta?’ mi chiedo ‘ di assoluta concentrazione o di un’attenzione vaga e dispersa tra mille stimoli?’ allaccio le braccia al petto e respiro un poco più forte ‘di cosa è fatto il nucleo della sua ricerca? Di ogni ricerca?’
Scatto la terza foto della giornata. Solo tre in dodici ore. Riprendo il cane nel momento preciso in cui cambia nuovamente direzione. Quando riguarderò la foto, mi farò un’idea più precisa della distanza quasi costante tra il suo muso e il terreno. È un cane gentile? Sempre a due centimetri dal terreno, senza mordere, leccare o strappare l’erba. Siamo abituati a pensare alla loro ricerca – cani, gatti, animali comunque, tutti insieme – come finalizzata unicamente al recupero di cibo; è curioso osservarlo in questa azione apparentemente priva di scopo. Un ricercatore irrisolto.
‘cane pazzo!’ sollevo il culo dalla panchina, alle otto e tre quarti di sera, con le nuvole pesanti appese al soffitto del cielo, la macchina fotografica che dondola sul petto, ed un indolenzimento alle cosce come sapore di anatra all’arancia. Cosce d’anatra, passo di papera. Giornata quasi finita.
Le scale che portano al mio appartamento, superata la soglia del portone di legno e ruggine che dà sulla strada, sono lisce del marmo calpestato spesso. Fatica e sudore sulla mia pelle flaccida, perché ho ancora paura dell’ascensore; tutte le mie paure entrano con me nel nuovo millennio. Cerco la chiave di casa nella borsa della macchina fotografica, tra obiettivi e filtri. Sento tutto il peso dei miei centoventi chili.
Entro velocemente, velocemente richiudo la porta alle mie spalle - ‘cane pazzo!’.
Sono già nudo quando entro in bagno. Le mie forme escono dallo specchio. Il mio sesso è nascosto, intimidito da tanta esuberanza carnale, peli e ciccia – la foresta del Vietnam, dove perdersi è più facile che sopravvivere, come in quel fumetto dove il colore delle piante, così accurato e vivo, era in realtà il colore della morte. Apro l’acqua. Mi siedo sulla tavoletta del cesso aspettando che l’acqua entri in temperatura.
‘cane pazzo! Era una ricerca senza scopo, con i sensi liberi di muoversi ovunque e ovunque soffermarsi per brevissimi istanti, e il piacere del movimento a sostenere la fatica e la lingua fuori a penzoloni ma solo nei cambi di percorso?’
Entro nella doccia e decido ‘domani cambio il box’, è troppo stretto ormai.
‘cane pazzo!’ mentre mi insapono ‘avevi un’idea precisa e maniacale di come muoverti, dell’odore da seguire, degli indizi significativi, ed il tuo tornare a distanza di alcuni minuti su alcuni percorsi già calcati, a girare intorno a quel grosso albero, davano il senso della tua assoluta concentrazione per qualcosa? Ma quali pensieri alimentavano la tua ricerca?’
‘aahh’ l’acqua sulla testa, che bagna i capelli, scende sulla mia faccia gonfia, il calore di un massaggio ricco di armonici e colori riflessi.
‘ah!’ all’improvviso, non so nemmeno come accade, scivolo, perdo il piede di appoggio, come un’amputazione, mi piego indietro, picchio la testa contro il portasapone, poi contro il rubinetto dell’acqua calda.
‘ah!!’ in piedi, in obliquo, un ginocchio spezzato, la mia ciccia che aderisce alla parete della doccia e non mi permette di raccogliermi a terra. L’acqua che scorre senza sosta.
Muoio in piedi.
Entro nella doccia e decido ‘domani cambio il box’, è troppo stretto ormai.
‘cane pazzo!’ mentre mi insapono ‘avevi un’idea precisa e maniacale di come muoverti, dell’odore da seguire, degli indizi significativi, ed il tuo tornare a distanza di alcuni minuti su alcuni percorsi già calcati, a girare intorno a quel grosso albero, davano il senso della tua assoluta concentrazione per qualcosa? Ma quali pensieri alimentavano la tua ricerca?’
‘aahh’ l’acqua sulla testa, che bagna i capelli, scende sulla mia faccia gonfia, il calore di un massaggio ricco di armonici e colori riflessi.
‘ah!’ all’improvviso, non so nemmeno come accade, scivolo, perdo il piede di appoggio, come un’amputazione, mi piego indietro, picchio la testa contro il portasapone, poi contro il rubinetto dell’acqua calda.
‘ah!!’ in piedi, in obliquo, un ginocchio spezzato, la mia ciccia che aderisce alla parete della doccia e non mi permette di raccogliermi a terra. L’acqua che scorre senza sosta.
Muoio in piedi.
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