Mi chiama Stefano, il mio amico sassofonista, e mi dice
Sai che c'è? potremmo suonare all'inaugurazione di una mostra fotografica.
Fico, gli dico. Quando?
Domani sera. Non ci sono soldi, ma c'è un pianoforte a mezzacoda.
Ci sono, gli rispondo.
Ci siamo andati, malgrado la neve.
Milano, traversa di Viale Abruzzi. Non ricordo neppure il nome del posto.
Seminterrato, due grosse sale. Nella prima una scalinata sulla destra e una proiezione sulla sinistra.
Nella seconda, la mostra di fotografie di Lampedusa, piante grasse e un pianoforte.
Quest'ultimo si rivela essere uno Steinway & Sons. Lo guardo bene, il mobile chiaro, un po' segnato. Non mi aspetto molto. Se è uno Steinway e io mi ritrovo casualmente a suonarlo, non sarà una gran cosa.
In effetti non lo è. Voglio dire, ha un suono dolce, morbido e una buona risposta. Tiene abbastanza bene l'accordatura, ma il suono è indebolito dal clima dell'ambiente, dagli anni, da tante altre cose. Si rivela un buon pianoforte a coda, diverso da quelli che suono di solito (Yamaha). Un buon amico, direi.
E poi succede, semplicemente, suoniamo per l'ennesima volta Work Song e la musica si muove inaspettata. L'intesa con Stefano è perfetta, il ritmo è più sincopato, teso, asciutto e la tensione diventa evocativa. Il pezzo, uno standard strasuonato da tutti, diventa nostro. E ci sorprendiamo di quel che nasce. Improvvisazione.
Le persone apprezzano. Sorrisi, ringraziamenti. Che mi importa? penso. Non suonavo mica per voi!
Non ho foto della serata, perché mi sembrava sciocco fare foto a una mostra di foto.
Che stronzata. Almeno lo Steinway potevo fotografarlo!
Tra parentesi, le foto e la proiezione erano molto belle.
Sai che c'è? potremmo suonare all'inaugurazione di una mostra fotografica.
Fico, gli dico. Quando?
Domani sera. Non ci sono soldi, ma c'è un pianoforte a mezzacoda.
Ci sono, gli rispondo.
Ci siamo andati, malgrado la neve.
Milano, traversa di Viale Abruzzi. Non ricordo neppure il nome del posto.
Seminterrato, due grosse sale. Nella prima una scalinata sulla destra e una proiezione sulla sinistra.
Nella seconda, la mostra di fotografie di Lampedusa, piante grasse e un pianoforte.
Quest'ultimo si rivela essere uno Steinway & Sons. Lo guardo bene, il mobile chiaro, un po' segnato. Non mi aspetto molto. Se è uno Steinway e io mi ritrovo casualmente a suonarlo, non sarà una gran cosa.
In effetti non lo è. Voglio dire, ha un suono dolce, morbido e una buona risposta. Tiene abbastanza bene l'accordatura, ma il suono è indebolito dal clima dell'ambiente, dagli anni, da tante altre cose. Si rivela un buon pianoforte a coda, diverso da quelli che suono di solito (Yamaha). Un buon amico, direi.
E poi succede, semplicemente, suoniamo per l'ennesima volta Work Song e la musica si muove inaspettata. L'intesa con Stefano è perfetta, il ritmo è più sincopato, teso, asciutto e la tensione diventa evocativa. Il pezzo, uno standard strasuonato da tutti, diventa nostro. E ci sorprendiamo di quel che nasce. Improvvisazione.
Le persone apprezzano. Sorrisi, ringraziamenti. Che mi importa? penso. Non suonavo mica per voi!
Non ho foto della serata, perché mi sembrava sciocco fare foto a una mostra di foto.
Che stronzata. Almeno lo Steinway potevo fotografarlo!
Tra parentesi, le foto e la proiezione erano molto belle.
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