compagni, di akab
Ecco come Foucault descrive il potere disciplinare, soffermandosi, in un passaggio, sulla disciplina scolastica:
Primo, il potere disciplinare esercita una pressione continua che verte non tanto sull’errore, sulla colpa o sul danno, bensì sulla potenzialità del comportamento. Ancor prima che il gesto sia compiuto, deve essere possibile identificare qualcosa, e il potere disciplinare deve intervenire, ma intervenire in un certo senso prima della stessa manifestazione del comportamento, prima del corpo, del gesto o del discorso, a livello di virtualità, della disposizione, della volontà, a livello di quello che potremmo chiamare l’anima. [...]
Secondo, il potere disciplinare ha un carattere panottico: vedere tutto, ininterrottamente, tutti quanti. Esige l’organizzazione di una polarità genetica del tempo; esige che si proceda, inoltre, a un’individualizzazione centralizzata che ha come supporto e come strumento la scrittura; implica, infine, un’azione punitiva e continua sulle virtualità del comportamento che proietta così, dietro il corpo in quanto tale, quella che potremmo chiamare una psiche.
Terzo, il potere disciplinare è isotopico, o per lo meno tende all’isotopia. Ogni elemento di un dispositivo disciplinare occupa un posto ben determinato: è subordinato ad alcuni elementi, e a sua volta ne subordina a sé altri. […] Ma isotopia vuol dire, soprattutto,un’altra cosa, e cioè il fatto che, nel sistema disciplinare, il principio di distribuzione e classificazione di tutti gli elementi implica necessariamente qualcosa come un residuo, e dunque che c’è sempre qualcosa che potremmo definire come l’ “inclassificabile”. […] A fare da ostacolo [ai dispositivi disciplinari] sarà il residuo, l’irriducibile, l’inclassificabile, l’inassimilabile.
[…] È a partire dal momento in cui si impone la disciplina scolastica che vediamo apparire qualcosa come il debole di mente. È solo in rapporto a questa disciplina che potrà esistere un soggetto a essa irriducibile. Colui che non impara a leggere e a scrivere, infatti, comincerà a emergere come un problema, un limite, solo a partire dal momento in cui la scuola segue uno schema disciplinare. […]
In breve, il potere disciplinare presenta questa duplice proprietà di essere anomizzante, vale a dire di ridurre costantemente ai margini un certo numero di individui, di produrre anomia, di far emergere dell’irriducibilità, e al contempo di essere sempre normalizzatore, di inventare sempre nuovi sistemi di recupero, di ristabilire ogni volta, di nuovo, la regola. A caratterizzare il potere disciplinare, insomma, è un perpetuo lavoro della norma all’interno dell’anomia. […] Potremmo dire che il potere disciplinare ha come proprietà senza dubbio fondamentale quella di fabbricare corpi assoggettati e di applicare appunto la funzione-soggetto al corpo. Esso fabbrica, distribuisce, corpi assoggettati. È individualizzante, [ma solo nel senso che] l’individuo [non] è altro che il corpo assoggettato […], imprigionato all’interno di un sistema di sorveglianza e sottomesso a una serie di procedure di normalizzazione.
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