Mi guardo allo specchio.
Sono io. Sono questo corpo qui.
La magrezza, il naso, la pelle, le spalle, le mani, le ginocchia, il pene, i piedi, gli occhi, la lingua, i capelli, la bocca…
Non ti ho mai guardato davvero. Non con l’amore di un padre per il proprio figlio.
Ma solo a pezzi, a disturbi, a macchie.
Con idee sotto il naso, di immagini altre: eredità, rumori, attese, bisogni.
Fallimenti.
Non ti ho mai ascoltato.
A questo corpo che parla, con i suoi dolori e la sua tenacia, ho chiesto silenzio.
Scompari, ti ho detto. Riappari, a modello del mio desiderio.
Paff!
Un corpo diviso. La gola, il respiro contratto, l’uncino del naso.
Pezzi disordinati e fragorosi. Confusi.
Oggi ti ho di fronte a me. Le mie mani seguono il profilo e ricercano un’unità.
Lascio che si muovano come una brezza fresca e tiepida.
Da quale seme provieni, giovane corpo invecchiato?
Guarda! La magrezza di mia madre!
Il naso di mio padre!
Gli occhi alchemici del loro amore congiunto!
Guarda! La mia tristezza nei polmoni fragili!
La mia paura nel diaframma teso!
La mia leggerezza nei piedi belli, delicati, senza segni!
La mia consapevolezza nella fronte libera e liscia!
Sediamoci un po’ qui, e ritroviamoci, vecchio amico mio.
Insieme, dove vogliamo andare?
Teniamoci compagnia per un po’, prima di sciogliere il nodo che ci lega.
Tutto quel che è qui è nostro, a portata di mano.
Nel rispetto di chi verrà dopo di noi.
Nel frattempo, vorrei conoscerti meglio.
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