giovedì 13 febbraio 2014

I meravigliosi giochi olimpici di Soči



L’opposizione dell’Sgr di Soči ai giochi non è di tipo
politico: è motivata esclusivamente da
quello che vedremo tra poco. La nostra destinazione
è un’importante zona umida che
un tempo ospitava duecento specie di uccelli
migratori e numerose piante rare.
“Questo territorio doveva diventare una
riserva”, spiega Julia. “Avevamo preparato
tutti i documenti. Doveva rientrare nella
convenzione di Ramsar sulle zone umide.
Ma non è stato possibile”.
Lasciamo la strada principale e seguiamo
una ila di enormi ribaltabili arancioni
ino alla Zona costiera dei giochi. Il Fisht e
altri stadi in costruzione emergono dal fango
circondati da strade di ghiaia e da una
foresta di grattacieli destinati a ospitare
atleti, giornalisti e spettatori. Il rumore dei
lavori si sente attraverso i inestrini chiusi
della macchina. Quando arriviamo a quel
che resta della palude, Maria e Julia non dicono
nulla. Non è necessario. Una serie di
piccoli stagni privi di vegetazione segna
l’incrocio tra due strade fangose percorse
da un lusso continuo di camion. Le sponde
sono disseminate di bottiglie di plastica,
calcinacci e cataste di legna. Accanto a un
bagno chimico ci sono due cartelli, uno in
russo e uno in inglese, che definiscono
quella scena apocalittica “Parco ornitologico
naturale della palude di Imeretinskaja”.
“Su tutto il territorio del parco”, dicono i
cartelli, “è vietato svolgere attività che possano
modificare il paesaggio naturale”.
Vietato cacciare, danneggiare i terreni di
riproduzione degli uccelli, raccogliere
piante selvatiche, inquinare l’acqua o danneggiare
“la qualità ambientale, estetica e
ricreativa del parco”.
Dalla palude ci spostiamo verso un
quartiere residenziale afacciato sulla Zona
costiera. Cerchiamo una strada chiamata
Bakinskaja. Un intero isolato di case quasi
tutte ancora occupate è inclinato con una
strana angolazione. Un po’ più giù, la posizione
di due palazzi ricorda quella della
torre di Pisa: sono appoggiati l’uno all’altro
e si sostengono come due ubriachi. Da un
paio d’anni gli abitanti della zona vedono i
camion arrampicarsi pieni in cima alla collina
per scenderne vuoti. Trentamila tonnellate
di detriti olimpici, provenienti quasi
tutti dalla costruzione della ferrovia, sono
initi in una discarica illegale. Un giorno,
dopo un temporale, il ianco della collina è
improvvisamente scivolato, insieme alle
fondamenta delle case. Dieci mesi prima
della nostra visita, il governo ha annunciato
che avrebbe trasferito altrove gli abitanti
della strada. Ma passati i dieci mesi i camion
continuano a scaricare materiale e la
gente è ancora nelle vecchie case. La nostra
ultima meta è un campo di attivisti sulla riva
nord del fiume Kudepsta, sorvegliato
ventiquattr’ore al giorno dai residenti della
zona e da membri della Guardia. Hanno
occupato la postazione nove mesi prima,
quando un’impresa edile ci ha costruito un
ponte temporaneo. Sulla riva opposta doveva
sorgere una centrale elettrica a gas
destinata a fornire elettricità ai giochi. [...]

Per quanto riguarda la
Società geograica di Soči, l’ingiunzione di
Mosca è arrivata all’inizio di marzo, come
preannunciato. Ma un mese dopo, mentre i
manifestanti venivano allontanati dal iume
Kudepsta, è successo qualcosa di sorprendente.
“Può congratularsi con noi”,
diceva un messaggio di Maria e Julia. “Ieri
abbiamo vinto la causa”. Mosca ha deciso
che la sezione di Soči potrà continuare a
esistere. Maria e Julia erano sorprese. E
anch’io. Poi mi sono ricordato una cosa che
Maria mi aveva detto quando ero a Soči.
“Qualunque cosa vogliano farci, aspetteranno
dopo le Olimpiadi, quando nessuno
presterà più attenzione a quello che succede
qui”.

da Internazionale n. 1033

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