martedì 27 ottobre 2009

Maria

Dalla terra ho scovato questo brano cantato da Mina.
Un brano sacro di un anonimo del XII secolo.
Mina non è cantante di musica sacra.
Ma questa interpretazione ha la concretezza e la profondità di una madre, qualunque madre che soffre per il figlio. Lo ascolto spesso, in questi giorni.


Le cose da fare

Fatto quello che dovevo fare, mi fermo.
Ascolto una musica malinconica che arriva non so da dove.
Immagino di stringere Gabo, come in quella piccola foto sulla destra, quella del profilo.
Dove è andato quell'essere minuscolo?

Oggi un'amica mi ha parlato della sua rabbia, come si parla di un amore antico.
Ne abbiamo cantato.
Ora mi fermo, ma sono certo di stare immobile?
E se ritiro la biancheria dal balcone, avrò un sorriso da lei?

Il mio balcone guarda la valle, dove gli alberi cambiano colore e il fumo dei camini ricama il cielo.
Sono silenzioso, ma la musica non si è fermata. Mi ero scordato del silenzio.
Chiudo qui, la finestra, lo stendino, lo stereo, il mac, gli occhi.
Sh!

venerdì 23 ottobre 2009

mercoledì 7 ottobre 2009

Ti aspettiamo!



Gabo scatta foto da prospettive inedite (appena ho tempo le pubblico).
Il suo sguardo è minimalista e a tratti surreale, secondo la percezione che ne ho io, da papà innamorato.
Al telefono dice ti aspettiamo! esprimendo la gioia di un’attesa che è a volte troppo lunga.

Mi sto aspettando. L’attesa non è statica, ma incerta. Ho letto una cosa, a proposito della consapevolezza. Si sottolineava la differenza tra la consapevolezza del fare qualcosa e la consapevolezza vera e propria. Non avevo mai riflettuto in questi termini. Ma risolve un imbarazzo. Se commetto un omicidio in piena consapevolezza del mio fare, a cosa mi serve?
Quanti "omicidi" commettiamo contro il prossimo e la nostra felicità?
È così difficile sacrificare il proprio io, in questo movimento nevrotico.

La consapevolezza della visione profonda è la pace della piena accettazione. Sgombrare le ombre è difficile, soprattutto quando si ingarbugliano con l’ideale di noi che con diligenza strutturiamo ogni giorno, tra desideri, appetiti, insonnie, dolori al collo, inutili corse, respiri superficiali.

A volte, nel pieno di un litigio, nel fuoco della rabbia, mi chiedo a cosa serve tutto questo per il mio io?
E non si sgonfia. Se non nel silenzio dell’attesa. Della sospensione.

Posso accettare questo sudore tra le dita dei piedi e l’odore che si porta? Posso accettare di essere pessimo, nella fiducia di una trasformazione quotidiana?
Circondato dalla convinzione che tanto non si cambia mai.
Nei riflessi del sole, percepisco la luce dell’impermanenza.

venerdì 2 ottobre 2009

Dietro la schiena

Che vento.
Che abissi.
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